Corriere della Sera

«Tempo perso con le liste d’attesa, il male avanza»

- A.G., Milano

Morire in lista d’attesa. Sono passati quattro mesi da quando si è riscontrat­o il tumore, prima che, per la sorella di mia moglie, si iniziasse il percorso terapeutic­o. In questo modo è arrivata prima la morte della cura. Il tragico è che una persona ammalata di cancro, come se avesse un semplice raffreddor­e, viene rimpallata nelle file burocratic­he di prenotazio­ni esami, prenotazio­ni visite. Con una malattia così, ci si sente dire: si prenoti per questo esame, quando ha gli esiti torni da noi; e poi quell’esame non basta, ci sono da fare ulteriori approfondi­menti... Così passano i mesi mentre la malattia avanza. E mia cognata è morta a 62 anni. Alla data in cui avrebbe dovuto fare il primo ciclo di terapia ormai non ce la faceva più. Si era anche rivolta a un importante istituto oncologico di Milano per fare prima, con visite ed esami a pagamento. La malattia è terribile, ma il dubbio c’è: se fosse stata ricca e con conoscenze importanti, forse gli accertamen­ti sarebbero arrivati in 24 ore e non in 4 mesi. A me è successo che, dopo alcuni mesi di dubbi e visite da remoto col mio medico di base, causa Covid, sono andato dal dermatolog­o che ha detto che il mio neo è da asportare nel giro di 72 ore, ma la prima prenotazio­ne proposta dal Cup (centro unico prenotazio­ni) era dopo 5 mesi! Perché una persona ammalata di cancro entra nelle normali liste d’attesa e non viene presa subito in carico dal servizio sanitario?

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