«Una figlia e il nuovo disco Ho vinto la depressione»
La star si confessa prima dell’uscita del nuovo disco «sulla resilienza e sulla luce in fondo al tunnel» «Con la gravidanza ho capito: sono un camaleonte» La depressione? Ero spezzata, mi sarei buttata giù»
La star Katy Perry, prima dell’uscita del nuovo disco, racconta le sue paure e la sua gravidanza. «Ero molto depressa... L’idea di diventare mamma mi ha dato forza» dice la cantante da 45 milioni di dischi. «Mia figlia? Non voglio che cresca in questa America».
K aty Perry sorride. Ha gli occhi che sprizzano gioia. La prima cosa che fa una volta accesa la videocamera è piazzarci davanti Nugget, il barboncino che lei chiama «il mio peluche vivente», e giocherellarci. A marzo la popstar americana ha annunciato a sorpresa, accarezzandosi il pancione nel finale del video di «Never Worn White», di essere incinta. Il 14 agosto uscirà il suo quinto album, ancora senza titolo.
Il suo mood non è sempre stato così positivo. Anni fa aveva raccontato che la momentanea separazione da Orlando Bloom, papà della nascitura, aveva agitato pensieri suicidi. Tema su cui è tornata in un’intervista con la radio candese CBC cui ha confessato di essere stata salvata dalla «gratitudine», altrimenti si sarebbe «buttata giù». Tutto passato, non dimenticato. «Vedo una luce alla fine del tunnel. Ero molto depressa e spero che questo disco pieno di speranza possa aiutare qualcuno», ci racconta.
Per cosa era depressa?
«La depressione non è così facilmente definibile. Depressione, ansia e ogni disturbo mentale sono legati a uno sbilanciamento chimico che però può essere sollecitato da un evento o una situazione».
Ha individuato la causa?
«”Witness”, il mio album precedente, e la perdita di amore verso di me da parte del mondo esterno. Sino ad allora la mia vita era stata sempre su un traiettoria crescente. Dopo quell’album ho sentito il cambio. È stato uno tsunami. Guardando indietro non è stato così intenso come credevo in quel momento, ma sono riuscita ad attraversarlo grazie a un lavoro emotivo, spirituale e psicologico in profondità che mi ha portata a trovare il perché dessi così tanto peso alle conferme esterne. Mi aveva spezzato».
L’idea di diventare mamma le ha dato più sicurezze?
«Mi ha dato forza. Ho capito di non essere una sola cosa. Sono un camaleonte, sono curiosa».
Arriverà prima la figlia o il disco?
«Vedremo. Mia figlia potrebbe non voler essere superata da un album. Me la vedo che dice “è il mio turno, sono io l’evento”. Il nome non lo svelo ma mi piace disseminare indizi così che all’annuncio qualcuno dirà “ecco cosa voleva dire”».
E allora magari sarà Daisy (Margherita) come «Daisies», il nuovo singolo che racconta di chi non si lascia abbattere da quelli che cercano di distruggerne i sogni...
«Tutto il disco, un ritorno al pop delle origini dopo le sperimentazioni di “Witness”, sarà definito da queste parole: speranza, resilienza, empowerment. Questa canzone è sorella di pezzi come “Roar” e “Firework”. Sono quei brani, ne ho tanti, che mi vengono nei momenti bui e che scrivo per ricordarmi che posso venirne fuori. È come se fossi la cheerleader di me stessa, come se mi incoraggiasi ad arrivare al cuore e trovare la gratitudine. È la cosa che mi ha cambiato la vita. E ogni mattina prego Dio e lo ringrazio per questo. Non è
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American dream
Il sogno americano dovrebbe essere alla portata di tutti ma non lo è: ci vuole un cambio
una canzone relativa solo a quei due anni che ho passato. Sono sentimenti che provano tutti. Ce la posso fare? Posso sognare di diventare quello che voglio quale che sia il colore della mia pelle, la mia estrazione sociale, il modo di amare? La canzone dice che non importa quello che dicono gli altri se segui la tua strada».
A proposito di sogni, il sogno americano è ancora vivo?
«Il sogno americano è lì, avrebbe dovuto essere alla portata di tutti ma non lo è. Questo adesso è chiaro ed è venuto a galla. Ci vuole un cambiamento, una rivoluzione, e sono convinta che al mondo ci sia più bene che male, ma che il male faccia molto più rumore».
Con «Rock the Vote», non profit di ispirazione democratica, partecipa alla campagna per portare la gente al voto negli Stati Uniti.
«È la gente che ne mette altra in posizioni di responsabilità. Mi sono fatta sentire sul tema quattro anni fa e lo farò anche in queste elezioni. Bisogna essere cittadini attivi e partecipare, non basta galleggiare se vuoi il cambiamento. Tutti lo vogliamo».
Non vuole che sua figlia cresca nell’america di Trump?
«No, mai. Sono più che ottimista per il futuro».