UN PREMIER PRIGIONIERO DELLE AMBIGUITÀ DEL MOVIMENTO
La domanda rimbalza tra Palazzo Chigi e i partiti, arrivando fino al Quirinale. Il governo rischia di più rinviando qualsiasi decisione sul Mes, o assumendosi la responsabilità di chiedere il prestito europeo di 37 miliardi di euro per il sistema sanitario? La questione riguarda in primo luogo il Movimento Cinque Stelle, barricato ufficialmente dietro un «no» granitico; e a cascata il premier Giuseppe Conte, che di quel rifiuto è portavoce e forse vittima. L’insistenza con la quale l’opposizione chiede il voto in Parlamento, sicura che emergerà, parole del leghista Matteo Salvini, «una maggioranza favorevole all’interesse nazionale», dovrebbe far nascere qualche sospetto.
E forse si sta insinuando nelle file grilline, o almeno tra i ministri e in Conte, costretti ad assecondare un «no» all’europa al quale non credono nemmeno loro. Il fatto che la leader di Fratelli d’italia, Giorgia Meloni, si rivolga ai Cinque Stelle ribadendo che il Mes sarebbe «una clamorosa trappola», è significativo. Lo è ancora di più il suo appello accorato a «non cambiare idea», indice di una trincea ideologica nella quale si avvertono cedimenti. La notizia del colloquio telefonico di ieri tra Conte e la cancelliera tedesca Angela Merkel, che inizia il semestre di presidenza della Germania, è un primo indizio.
Segue la reazione piccata del capo del governo italiano che nei giorni scorsi, di fronte alle pressioni dell’alleata, aveva ribattuto che l’agenda economica dell’italia la preparava lui. Parole destinate a rassicurare i settori più intransigenti dei Cinque Stelle, e magari a cercare di disarmare la destra. Ma imprudenti per i contraccolpi che hanno creato nella maggioranza: in primis col Pd e Iv. E, cosa più preoccupante, per l’ennesimo segnale contraddittorio consegnato a un’europa che nelle nazioni del Nord si nutre dei pregiudizi contro l’italia populista e spendacciona; bisognosa di aiuti finanziari ma esitante quando deve accettarne le condizioni. Non è ancora chiaro l’epilogo.
Cominciano però a delinearsi le conseguenze di un’ambiguità che Conte avalla, ossessionato dal timore di una frattura parlamentare dei grillini. L’idea di rinviare tutto a settembre nasce dall’ansia di durare senza scossoni. Gli scossoni, però, arrivano comunque. E non si può esorcizzare la prospettiva di ritrovarsi tra due, tre mesi con un ritorno del coronavirus, senza avere chiesto i fondi che permetterebbero di agire subito sui punti deboli del sistema sanitario e di rassicurare l’opinione pubblica. È inevitabile chiedersi se l’attuale esecutivo sia in grado non solo di chiedere il prestito del Mes, ma di spenderlo nel modo migliore. Il timore che i soldi vengano utilizzati poco e male non è infondato. Ma al momento si tratta di una storia virtuale, ancora tutta da scrivere.