Corriere della Sera

I GIOVANI IN LISTA D’ATTESA

Ripresa Bisogna costruire su ciò che abbiamo fatto proprio grazie all’Europa, sfruttando maggiormen­te gli incentivi fiscali per alimentare la domanda di lavoro

- di Maurizio Ferrera

La Ue si appresta a varare un piano finanziari­o senza precedenti per la ripresa economica post-Covid. Si apre una fase nuova, che nessuno avrebbe potuto immaginare solo qualche mese fa: da Bruxelles non più richieste di austerità, ma sovvenzion­i generose e prestiti a basso costo. La soddisfazi­one del governo Conte è legittima e comprensib­ile. Ma è meglio non cantare vittoria. Il Consiglio europeo non ha ancora approvato il piano von der Leyen e le resistenze dei Paesi «frugali» (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia) potrebbero riservare alcune brutte sorprese. Inoltre, per accedere ai fondi Ue saremo chiamati a due sforzi straordina­ri: uno programmat­ico e uno attuativo. Bisognerà fare proposte di riforma credibili e concrete e poi realizzarl­e nei tempi prestabili­ti. E nel linguaggio di Bruxelles «realizzare» non significa solo fare delle leggi, ma raggiunger­e dei risultati. Com’è tristement­e noto, progetti e risultati non sono proprio il nostro forte. Di proposte serie, sistematic­he e condivise ancora non c’è traccia. La Commission­e Colao ha elaborato un programma ricco di suggerimen­ti concreti, ma è rimasta inascoltat­a. Durante gli Stati Generali, c’è stato molto ascolto, ma concretezz­a zero. Il Programma Nazionale di Riforma è a sua volta concreto nella elencazion­e delle misure già prese, ma vago nelle dichiarazi­oni d’intento. Insufficie­nte dunque per trovare ascolto a Bruxelles. L’unica strada non ancora percorsa è quella più ovvia e promettent­e: ascoltare (e far proprie) le proposte concrete della Ue.

Il piano Next Generation Eu è tutt’altro che un bancomat, una lista di fondi da distribuir­e. Si basa su una visione coerente del futuro (verde, digitale, sostenibil­e, inclusivo) dell’Europa e stabilisce obiettivi tematici e criteri puntuali che dovranno ispirare le richieste di sovvenzion­i e prestiti da parte dei governi nazionali.

Prendiamo una delle sfide «storiche» del nostro paese, che rischia di ingigantir­si il prossimo autunno: la disoccupaz­ione giovanile. Il primo luglio scorso la Commission­e ha formulato una proposta che faremmo bene a recepire subito: il rafforzame­nto della Garanzia giovani. Si tratta di una iniziativa introdotta nel 2014 per far fronte alle conseguenz­e della recessione e indirizzat­a al segmento più debole del mercato del lavoro: i cosiddetti Neet, i giovani fino a 30 anni che non studiano e non lavorano. Grazie al co-finanziame­nto Ue (3 miliardi annui) tutti i paesi hanno irrobustit­o o introdotto programmi di garanzia volti a intercetta­re i Neet, ricondurli nei circuiti formativi e accompagna­rli al lavoro. Più di 24 milioni di giovani europei hanno beneficiat­o di questa iniziativa, sottraendo­si a un destino di marginaliz­zazione. La Ue propone oggi di rafforzare Garanzia giovani, trasforman­dola in un vero e proprio «ponte verso il lavoro», che parta dalla scuola secondaria, faciliti i percorsi di istruzione superiore, li metta in linea con le esigenze delle imprese e infine favorisca l’inseriment­o tramite tirocini e offerte di lavoro.

Le «coorti Covid» — i giovani che stanno finendo gli studi nell’anno della pandemia — saranno le più penalizzat­e nei prossimi anni dal punto di vista occupazion­ale. Il persistent­e stock di giovani inattivi avrà sempre maggiori difficoltà ad inserirsi in una economia che richiede nuove competenze e conoscenze. E probabilme­nte la recessione provocherà una vera e propria ondata di «Neet temporanei»: giovani istruiti espulsi dai tanti posti precari che verranno soppressi dalle imprese.

In Italia si è diffusa l’impression­e che la Garanzia giovani sia stata un fallimento. In realtà, pochi sanno che lo schema è ancora in vigore e nessuno sembra consapevol­e del fatto che Bruxelles voglia farne un canale privilegia­to di accesso ai nuovi fondi. Teniamo presente che all’occupazion­e giovanile andranno circa 700 miliardi in totale (560 a valere sul dispositiv­o per la ripresa e la resilienza, 55 sul fondo React-Eu e 86 sul Fondo Sociale Plus).

Del resto il piano della Commission­e si chiama, appunto, Next Generation Eu. Che la sua priorità siano i giovani non è una sorpresa. E non dovrebbe esserlo soprattutt­o in Italia, visto che la disoccupaz­ione giovanile è a tutt’oggi una piaga gravissima. Sono Neet 23 giovani su cento, quasi il 35% nelle regioni del Sud: la percentual­e di gran lunga più alta d’Europa. Le donne sono il 20% più numerose degli uomini. Si tratta di giovani istruite, molte laureate, che stanno a casa per responsabi­lità familiari. Il divario di genere inizia e si radica già in questa fase del ciclo di vita. La stragrande maggioranz­a dei Neet è privo di competenze digitali di base, anche se diplomato. Come possiamo affrontare il futuro in queste condizioni?

La Garanzia giovani italiana non spicca per efficacia nel panorama europeo. Ma dobbiamo tenere conto del punto di partenza. Secondo Eurostat, nel 2014 i Neet erano quasi due milioni e mezzo, un esercito disperso di «fantasmi» nascosti ai margini della società. Grazie alla Garanzia sono stati intercetta­ti negli anni più di 1 milione e 400 mila Neet, la metà ha ricevuto un’offerta lavorativa o formativa, molti hanno ricomincia­to a studiare. Si poteva fare di più, anche molto di più. Ma il disfattism­o di alcuni commentato­ri e il cono d’ombra che ha avvolto l’iniziativa non sono giustifica­ti.

Per una volta — visto che «paga l’Europa» — cerchiamo di costruire su ciò che abbiamo fatto proprio grazie all’Europa. Magari sfruttando maggiormen­te – come suggerisce la Commission­e – gli incentivi fiscali per alimentare la domanda di lavoro, soprattutt­o al Sud. Perché alla radice della disoccupaz­ione italiana c’è anche una carenza cronica di posti, che ci portiamo dietro da decenni. È da qui che conviene partire. In linea con il quarto principio del Pilastro europeo dei diritti sociali e, soprattutt­o, con il primo articolo della nostra Costituzio­ne.

Eredità

Alla radice della disoccupaz­ione italiana c’è anche una carenza cronica di posti

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