Corriere della Sera

La foto per celebrare un’opera non conclusa Metafora italiana

- di Francesco Giavazzi

La notte fra il 12 e il 13 novembre dello scorso anno, quando l’acqua alta toccò un livello mai raggiunto dal 1966, convergeva­no su Venezia un forte scirocco in risalita dall’Adriatico e un vento in rotazione da Nord-Est. Il vento quella notte soffiava a 70-90km/h con raffiche di 120km/h (valore registrato dalla piattaform­a Ismar-Cnr), agitando le acque della laguna e facendo registrare in mare aperto onde prossime ai 5 metri d’altezza. È evidente che la prova di ieri non prova nulla: è stata solo una photo opportunit­y per il presidente del Consiglio.

Durante la precedente prova di sollevamen­to, alla barriera di Treporti non si riuscì a far rientrare nei loro alloggiame­nti in fondo alla laguna quattro delle 21 paratoie che erano state sollevate: colpa della sabbia e dei sedimenti che in quel punto si accumulano in modo consistent­e, a causa delle correnti, e che si depositano nei cassoni dove giacciono le paratoie. La vera prova, come ha notato Alberto Vitucci su La

Nuova Venezia, non è tanto farle uscire, ma farle rientrare.

Ma ieri il presidente del Consiglio si è ben guardato dal controllar­e se sia stato possibile concludere la prova: ha lasciato la laguna quando le paratoie erano ancora fuori dall’acqua.

A fronte di una previsione di spesa a inizio lavori di non più di 2 miliardi di euro (esprimendo tutto in euro del 2020), il Mose ha già assorbito 6,4 miliardi (si veda per questi conti Corruzione a Norma di Legge, Rizzoli, 2014 di Giorgio Barbieri e Francesco Giavazzi). A questi ne andranno aggiunti (secondo l’ultima stima del ministero delle Infrastrut­ture) altri 5 per la gestione e manutenzio­ne ordinaria nell’arco della vita presunta dell’opera: 100 milioni di euro l’anno per cinquant’anni. Solo i maggiori costi dovuti al «peccato originale» di aver affidato i lavori in monopolio superano a oggi i 2 miliardi di euro, sempre ai prezzi del 2020.

Come è potuto accadere in un Paese i cui ingegneri e le cui imprese hanno realizzato alcune delle più straordina­rie infrastrut­ture al mondo? Aldo Moro inaugurò l’Autostrada del Sole nell’ottobre del 1964. Per costruire 755 chilometri di un’autostrada a quattro corsie con viadotti e gallerie erano stati impiegati otto anni con un costo (in euro di oggi) di circa 4 miliardi, poco più della metà del Mose.

Il Mose è un esempio emblematic­o di quanto in Italia la realizzazi­one di un’opera pubblica, a partire dal progetto e dall’appalto, inneschi un meccanismo di tempi infiniti, mancanza di controlli, costi che lievitano proporzion­almente al diffonders­i della corruzione. Come controesem­pio si cita il ponte Morandi, ma fra le due opere c’è una differenza cruciale: la scadenza. Osservava Gianni De Michelis, il ministro socialista degli anni Ottanta: «Il segreto di un’opera sta nella scadenza. Solo se ci diamo una scadenza completere­mo l’opera». Il ponte Morandi non poteva ritardare, pena bloccare un’intera regione. Per il Mose invece vale quanto ripete ai veneziani l’ex sindaco Massimo Cacciari: «Che problema c’è? Tirate fuori gli stivali».

Nel momento in cui l’Italia si appresta, grazie ai finanziame­nti europei, a varare opere pubbliche per centinaia di miliardi, la cerimonia di ieri avrebbe dovuto essere l’occasione per porsi qualche domanda, non una photo opportunit­y per Giuseppe Conte.

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(Imagoecono­mica) Gomitata Giuseppe Conte e Luca Zaia

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