ARMAMENTI NUCLEARI, UN BALLETTO ELETTORALE SULL’ORLO DEL PRECIPIZIO
Fare orecchie da mercante è un esercizio antico e ben noto alla diplomazia internazionale, ma il livello raggiunto in queste ore dal Dipartimento di Stato Usa stabilisce parametri tanto avanzati che gli altri concorrenti avranno difficoltà a raggiungerli. Parliamo di armamenti nucleari intercontinentali, e converrà seguire uno schematico riassunto dei fatti. Primo, Stati Uniti e Russia devono decidere se vogliono prolungare di cinque anni il loro trattato bilaterale New Start, l’ultimo esistente, che in caso contrario scadrà in febbraio. Secondo, le due parti si incontrano a Vienna il mese scorso e fanno pochi progressi, anche perché gli Usa ribadiscono di voler coinvolgere la Cina in questa come in altre future trattative sulla limitazione degli arsenali atomici. Terzo, Pechino prende atto del ripetuto auspicio Usa e risponde, ieri l’altro, che la Cina parteciperebbe volentieri se prima l’America accettasse di far scendere i suoi arsenali al livello attuale di quelli cinesi, vale a dire di circa venti volte. Un no cortese ma inequivocabile. Quarto, gli Usa fanno finta che Pechino abbia detto sì, e si compiacciono dell’ «impegno» cinese a partecipare suggerendo un primo abboccamento tra le due parti. Quinto, il cinese Fu Cong resta a bocca aperta, l’americano Marshall Billingslea lo invita comunque a Vienna, e il russo Lavrov torna ieri al sodo, dicendosi pessimista sul salvataggio del New Start e denunciando l’aumento dei pericoli di scontri nucleari. Siamo al solito balletto pre-elettorale di Donald Trump, oppure esiste davvero la possibilità che la Cina stringa almeno formalmente una mano tesa degli Usa rarissima di questi tempi? Non lo sappiamo ancora, ma sappiamo che in questo gioco sull’orlo del precipizio atomico le parole che dovremmo tenere a mente sono soltanto quelle di Lavrov.
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