Colpo di scena a Potsdam
Novecento Una mostra nel palazzo dove il premier inglese s’incontrò con Truman e Stalin. All’alba della guerra fredda Churchill perse le elezioni durante la conferenza del 1945 e fu sostituito da Attlee
Nel pomeriggio del 16 luglio 1945, Harry Truman ricevette da Washington un cablogramma cifrato. Il presidente degli Stati Uniti era arrivato il giorno prima a Potsdam, a pochi chilometri da Berlino, su invito di Stalin. Da due mesi la capitale tedesca era sotto il controllo dell’Armata Rossa, che l’aveva conquistata dopo l’epica battaglia terminata in maggio. Il nazismo era sconfitto. Ma la Seconda guerra mondiale continuava nel quadrante asiatico, dove il Giappone opponeva l’ultima disperata resistenza. Il leader sovietico aveva invitato Truman (da pochi mesi alla Casa Bianca dopo la morte di Roosevelt) e Churchill a una conferenza dei vincitori, che avrebbe dovuto negoziare il futuro della Germania e ridisegnare i confini d’Europa.
Berlino era un cumulo di macerie ancora fumanti, un deserto che odorava di morte. Così gli anfitrioni sovietici scelsero di tenere i lavori a Potsdam, la piccola Versailles dei re di Prussia, in un palazzo rimasto quasi indenne: costruito per il principe ereditario Guglielmo sul modello di una residenza di campagna inglese, Cecilienhof, con le sue 126 stanze, era il luogo ideale per ospitare alcune centinaia di partecipanti.
Stalin era in ritardo. Viaggiava col treno speciale che era stato dello zar Nicola II attraverso i territori strappati alle armate hitleriane. Churchill e Truman avevano deciso di usare quella giornata per visitare Berlino e rendersi conto della drammaticità della situazione. Il premier inglese volle perfino visitare il bunker di Hitler.
Ma l’attenzione di Truman era rivolta altrove. A migliaia di chilometri di distanza, nel deserto del New Mexico, in quelle ore era stato svolto il test della prima bomba atomica americana. «Operazione effettuata questa mattina. Diagnosi non ancora completa. Primi risultati soddisfacenti, molto oltre le aspettative», diceva il messaggio in codice. Da quel momento, Truman seppe di avere in mano la più terribile arma mai costruita. Ma nel corso della conferenza ne avrebbe parlato solo di sfuggita, in una pausa e in termini generici, sia con Churchill che con Stalin.
L’episodio offre una misura di quanto durante il terzo appuntamento delle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale (dopo Teheran e Yalta) covassero già i germi di quello che si stava preparando, della rivalità tra i due campi che avrebbe segnato la seconda metà del secolo. Eppure, i giorni di Potsdam furono dominati da un senso di ottimismo: «Nessuno parlava ancora di Guerra Fredda, Potsdam era la cerimonia conclusiva della vittoria sulla Germania, che ora non era più il grande problema dell’Europa», dice lo storico Michael Neiberg
È uno dei temi della mostra Potsdam conference 1945: Shaping the World, aperta fino al 31 dicembre nel Cecilienhof, riportato indietro nel tempo con una ricostruzione meticolosa degli ambienti, dai mobili originali ai tappeti, fino agli oggetti usati dai tre protagonisti. Oltre alle tre poltrone di vimini dove sedettero per la foto di famiglia, ci sono perfino il bastone, il panama e la scatola di sigari di Churchill, fatti arrivare apposta da Londra.
Dal 17 luglio al 2 agosto di 75 anni fa, Stalin, Truman e Churchill si videro quasi ogni giorno intorno alla grande tavola rotonda, che è il clou dell’allestimento. Dopo le discussioni preparatorie tra i diplomatici e le sedute preliminari dei ministri degli Esteri (con loro anche un giovanissimo viceministro sovietico di nome Andrej Gromyko) i tre grandi tennero tredici sessioni di quasi due ore ciascuna, iniziavano alle 5 e finivano poco prima delle 7. La sera, ritiratisi i capi nei loro quartieri privati, era dedicata alla socializzazione: banchetti, cori e feste da ballo.
Una delle voci narranti della mostra è Joy Milward, la segretaria personale di Churchill, che, da brava adolescente (aveva 19 anni) proiettata nella Storia, pensò bene di annotare impressioni e ricordi in un diario, di cui si può ammirare l’originale in una teca e sfogliare le pagine digitalizzate su uno schermo. Non solo commenti sulla conferenza e descrizioni del Paese distrutto, ma anche foto, piantine, biglietti d’invito alle feste che ogni delegazione si sentiva in dovere di organizzare e alle quali lei «partecipava volentieri»: «Balliamo tutte le sere», annota la ragaz
Le popolazioni tedesche furono espulse dalle zone assegnate alla Polonia e non «in modo umano» come era stato previsto
za. Alla quale però non sfugge la tragedia della Storia. Struggente il fotogramma del percorso dall’aeroporto a Potsdam all’arrivo in Germania: «La strada era tutta fiancheggiata da una doppia fila di uomini anziani, donne e bambini che trascinavano pacchi sulle spalle o spingevano carri carichi di tutte le loro cose».
Il destino di sfollati e profughi fu uno dei temi centrali della conferenza. Stalin ottenne per l’Unione Sovietica i territori orientali della Polonia, che venne compensata con uno spostamento a ovest delle sue frontiere, fino alla linea dell’OderNeisse. Milioni di persone di etnia tedesca che vivevano nelle province polacche occupate vennero espulse, ma il loro trasferimento non fu affatto «ordinato e umano» come recitava l’intesa di Potsdam. In cambio, Truman mise in sicurezza la definitiva divisione di Berlino in quattro settori e la rinuncia di Stalin a riparazioni dalle zone controllate dagli alleati occidentali. Fu il preludio alla divisione della Germania. La mostra racconta le storie individuali dei rifugiati, attraverso foto e oggetti, filmati e documenti originali.
Il colpo di scena avvenne il 26 luglio. La conferenza era stata interrotta per permettere a Churchill di tornare a Londra, dove si era votato il 5, per essere presente all’annuncio dei risultati elettorali. Non sarebbe mai tornato. Il vincitore della guerra, l’uomo che aveva salvato il Regno Unito nell’«ora più buia», era stato sconfitto a valanga dai laburisti di Clement Attlee, fin lì presente a Potsdam come osservatore in quanto capo del governo ombra. Fu lui a tornare alla conferenza da primo ministro di sua maestà e a sedersi al tavolo del Cecilienhof per i cinque giorni conclusivi.
Alla fine della conferenza Truman propose di incontrarsi nuovamente a Washington. Attlee disse che il summit sarebbe stato «una pietra miliare sulla via della pace tra i nostri Paesi e nel mondo». Quel vertice non si tenne mai. Quattro giorni dopo la chiusura di Potsdam, la bomba su Hiroshima diede via all’era nucleare. La promessa di Stalin di far tenere libere elezioni nelle zone sotto il controllo sovietico non venne mantenuta. La cortina di ferro cominciava a calare sull’Europa. Era l’alba della Guerra Fredda.
Quattro giorni dopo la fine del summit tenuto in Germania gli americani sganciarono la bomba atomica su Hiroshima