SERVIREBBE UN PO’ DI FIDUCIA
L’Italia ha più bisogno perché più colpita: lo shock causato dalla pandemia è stato asimmetrico, ma la ripresa dev’essere simmetrica o tutti ne faranno le spese
Lo chiamano «momento Hamilton». In questo weekend l’Europa del 2020 può imitare gli Stati Uniti del 1790 (non è mai troppo tardi). Come allora avvenne in America su spinta del ministro del Tesoro federale, la nostra Unione di Stati sovrani potrebbe decidere oggi per la prima volta di fare dei debiti in comune, e di distribuire poi le risorse là dove più servono. Che, a ben pensarci, è il massimo della fiducia reciproca. Ciò che succede di solito all’interno degli Stati nazionali, e che è mancato finora all’Europa.
Niente di strano quindi se sarà dura. Se la notte sarà insonne. Se il compromesso sarà faticoso. Se l’esito è ancora incerto. Il passo è storico. Finora la condizione dei Trattati europei era che non comportassero «trasferimenti monetari» da uno Stato all’altro. Il Covid, la Guerra Mondiale della nostra generazione, può spazzare via il tabù. Angela Merkel, per un fortunato tempismo presidente di turno dell’Unione, può essere l’Hamilton dei nostri tempi. Al quarto e ultimo mandato da Cancelliera, senza più l’incubo delle prossime elezioni, è libera di entrare nella storia. Ma tutti gli altri capi di governo hanno il problema del consenso interno. I sovrani potevano essere «illuminati» quando non avevano bisogno di voti per essere rieletti. La democrazia ha questo piccolo svantaggio, ed è lì che si gioca oggi a Bruxelles la difficilissima ricerca di un compromesso,
L’Italia merita di vincere la sua partita. Il nostro Paese ha infatti più bisogno di altri perché più colpito di altri. Lo shock è stato asimmetrico. Ma la ripresa deve essere simmetrica. Un’Italia travolta dalla recessione e risucchiata nel suo antico gap di arretratezza produrrebbe infatti anche un’Europa meno prospera e più debole. È certamente interesse comune evitare che ciò accada. Però proprio l’Italia, così ricca di partiti antieuropei di successo, non può dimenticare che gli euroscettici ci sono anche altrove, e che i premier devono tenerne conto. L’Olanda di Rutte, per esempio, è più europeista di noi nei sondaggi. Il 70% dei cittadini dei Paesi Bassi non uscirebbe dall’Unione se ne avesse la possibilità; in Italia solo il 53%. Ciò non toglie che, quando si tratta di soldi, le proporzioni si invertano, e la maggioranza sia contraria a regalarne a chicchessia, meno che mai all’Italia. Il premier arancione si merita dunque tutta la nostra riprovazione per la linea dura che ha scelto. Ma sarà certamente più preoccupato della ripropretendere vazione degli elettori olandesi.
Questo complesso equilibrio, tra interesse comune e interesse nazionale, è il cuore del rebus europeo, e riguarda anche noi. Interesse nazionale è far parte di un’Europa in cui la Banca centrale acquista da mesi e acquisterà per mesi quasi duecento miliardi del nostro debito, tenendo giù gli interessi; e che sta decidendo di mobilitare centinaia di miliardi tra prestiti e finanziamenti diretti per aiutarci a uscire dall’emergenza. Immaginarci in questi frangenti fuori dall’Unione dà i brividi, e rivaluta le classi dirigenti che in Europa ci hanno portato e ci hanno tenuto. Ma, come nella vita reale, la fiducia ha un prezzo di responsabilità.
L’Olanda non può pretendere di mettere il veto su come spenderemo i soldi che l’Europa investirà in Italia. Si spezzerebbe così ogni forma di gestione comune e si aprirebbe la strada a un gioco distruttivo di ricatti reciproci. Però neanche noi possiamo di non dover rendere conto a nessuno di come spenderemo quei soldi. E invece, per uno strano riflesso condizionato, ormai la nostra classe politica mette (metaforicamente) mano alla pistola ogni volta che sente una voce straniera aggiungere l’aggettivo «strutturali» a fianco del sostantivo «riforme». Come se non fosse esattamente ciò di cui abbiamo bisogno. Come se una regione italiana obiettasse al fatto che il modo in cui usa i soldi di tutti riguardi anche tutte le altre regioni. Noi dobbiamo batterci affinché ogni verifica avvenga in organismi europei effettivamente federali, come la Commissione, e non sia affidata ai placet di un altro governo nazionale. Ma davvero non possiamo dire: voi dateci i soldi, a come spenderli ci pensiamo noi.
Accedere ai fondi, nella forma e nell’entità che ci auguriamo verranno decisi dal vertice europeo, richiederà in ogni caso progetti precisi, definiti, verificabili, a tempo. Purtroppo il nostro Paese non è un esempio in quanto a capacità di spesa. E programmi come il «bonus vacanze» non rafforzano la fiducia degli altri nella qualità di quella spesa.
L’Italia ha certamente bisogno di soldi. Ma anche di stimoli a usarli bene. La nostra sanità, la nostra scuola, la nostra pubblica amministrazione, la nostra modernizzazione digitale, hanno bisogno di un salto di qualità che l’Europa ci può finanziare. Ma anche l’Europa ha bisogno di noi. Saremo noi la prova generale del suo «momento Hamilton», se oggi ci sarà.
Responsabilità
Accedere ai fondi richiederà in ogni caso progetti precisi, definiti, verificabili, a tempo