E Conte disegna la linea rossa «Niente trucchi sull’uso dei soldi»
Il presidente del Consiglio: «Rispettare la proposta originaria» Si punta a dare l’ultima parola alle Commissione e a Gentiloni Roma incassa l’appoggio di Madrid e Parigi. E si affida alla mediazione di Merkel-Michel
Il cielo sopra il negoziato è grigio scuro, proprio come quello di Bruxelles. E allora Giuseppe Conte prova a giocare d’attacco, che alla fine resta sempre la miglior difesa: «La proposta di Mark Rutte è incompatibile con i trattati e impraticabile sul piano politico» dice il presidente del Consiglio chiedendo di isolare la posizione olandese sul diritto di veto per i singoli Stati membri che potrebbe bloccare il meccanismo europeo di aiuti. In appoggio all’Italia interviene il premier spagnolo Pedro Sanchez, qualche poltrona più in là annuisce il presidente francese Emmanuel Macron. La cancelliera tedesca Angela Merkel, invece, aspetta come da copione. E questo all’inizio provoca una certa delusione nella delegazione italiana, almeno fino alla cena quando è proprio la cancelliera tedesca a innescare la nuova mediazione del presidente del consiglio europeo Charles Michel. Quella che dopo una giornata di muro contro muro potrebbe sbloccare il negoziato. E sulla quale il governo italiano è fiducioso.
Cosa piace all’Italia di questa nuova proposta? Dovrebbe mantenere la cifra iniziale dei 750 miliardi totali, 500 in sovvenzioni, 250 in prestiti. Al massimo ci potrebbe essela re una limatura che, specie se dovesse riguardare solo la parte prestiti, l’Italia sarebbe pronta ad accettare. Anche la divisione in due tranche, il 70% della cifra nel primo anno, il restante 30% più avanti e solo in caso di Pil in flessione, ci potrebbe andare bene. Anzi, sembra un paradosso ma in questo caso a darci una mano sarebbe proprio uno dei nostri mali storici, e cioé scarsa crescita della nostra economia. Il parametro da utilizzare sarebbe quello della media europea del Pil, noi siamo ben al di sotto. Ma, anche se in linea di principio vantaggioso, questo meccanismo lascia dubbioso il premier. «Se questi soldi devono servire agli investimenti — è il suo ragionamento — che senso avrebbe darne all’inizio sono una parte? Rischieremmo
di punire proprio chi usa quei soldi nel modo più efficace. Non ci devono essere trucchi che finirebbero per rendere più complicato l’uso di quei soldi. Noi non cediamo».
Uno di questi trucchi è proprio il diritto di veto proposto dall’Olanda, che al «non praticabile» di Conte risponde con un «Non la beviamo». Su questo punto c’è una primissima proposta di mediazione, che nel linguaggio senza spigoli della diplomazia si chiama emergency brake, freno d’emergenza. Non più il diritto di veto diretto. Ma la possibilità di portare all’esame del Consiglio, dove siedono i capi di governo, i dossier dei singoli Stati. In realtà emergency brake è solo un titolo, tutto dipende da come viene disegnato nei dettagli. In particolare se viene previsto, come possibile, un «quorum» minimo per portare il caso davanti al consiglio. Meglio del diritto di veto. Ma non abbastanza per parlare di una mediazione ragionevole, figuriamoci di una mezza vittoria.
«Credo sia opportuno rimanere ancorati alla proposta originaria», ripete Conte perché in ogni negoziato che si rispetti è vietato dire di sì al primo giro e senza ottenere nulla in cambio. La proposta originaria è quella che attribuisce il ruolo di controllore alla commissione, dove il responsabile degli Affari economici è il «nostro» Paolo Gentiloni. Ma questo è un altro nervo scoperto. Sia i quattro Paesi frugali, guidati proprio dall’Olanda, sia il Gruppo di Visegrad, i quattro dell’Est, sono contrari. Non solo perché a loro giudizio la commissione ha già troppo potere. Ma anche perché il ruolo del commissario economico è affidato proprio a un italiano. Anche noi, però, prendiamo di mira i punti deboli degli avversari. Insieme a Macron, Conte promette battaglia sui rebate, gli sconti sui contributi al bilancio comunitario di cui godono anche i quattro Paesi frugali. «Quel meccanismo va rivisto», dice il premier. Una linea appoggiata da 18 dei 27 Stati membri. Almeno in questo siamo in maggioranza.