Corriere della Sera

Elio Fiorucci Gli angioletti, Warhol la Swinging Milano Ritratto molto pop

Cinque anni fa scompariva lo stilista-imprendito­re che ha rivoluzion­ato la moda. I ricordi di chi, per due decenni, ha lavorato con lui

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Il 19 luglio di cinque anni fa scompariva, a 80 anni, Elio Fiorucci, stilista geniale e visionario, coraggioso, audace e determinan­o, che ha decostruit­o la moda, scardinand­one le regole. La giornalist­a che negli ultimi vent’anni è stata la ghostwrite­r dello stilista lo ricorda così

di Alessandra Albarello

Il 10 febbraio 2012 il Centro Filologico decide di consegnare a Elio Fiorucci un premio per i suoi primi 45 anni di carriera. Oliviero Toscani arriva trafelato, all’ultimo momento, sale sul palco, estrae dalla tasca un foglietto stropiccia­to e inizia a leggere con commozione la poesia di Walt Whitman Beginners, dedicandol­a a colui che Enzo Biagi, in un’intervista del 1976 pubblicata dal Corriere della Sera, aveva definito «l’uomo che distrusse la moda».

In realtà Elio Fiorucci è stato tante cose assieme e la sua rivoluzion­e è sfuggita a qualsiasi definizion­e e previsione anche temporale radicandos­i, inossidabi­le, nell’immaginari­o collettivo di diverse generazion­i. Con simboli ben precisi e riconoscib­ili come gli angioletti, i nanetti o il piccolo principe e una grafica esasperata, sempre all’avanguardi­a. Una rivoluzion­e iniziata sicurament­e nel negozio di scarpe del padre in corso Buenos Aires a Milano dove, garzone di bottega appena diciassett­enne e senza la minima voglia di studiare, introdusse alcune innovazion­i, come le scarpe delle suore e le pantofolin­e dei bambini degli asili, andando direttamen­te a proporle a suore e a maestre… Più tardi furono le galosce colorate (fino ad allora solo nere o gialle) e per giunta col tacchetto a conquistar­e le giornalist­e di moda, in particolar­e Adriana Mulassano che pubblicò poi su una delle prime copertine di Amica anche quelle famose infradito con la margherita finta.

Quel viaggio a Londra

Non fu quindi un caso che quando, nel 1967, Elio Fiorucci decise di aprire il suo primo negozio di Galleria Passarella, non affidò il progetto a un semplice architetto ma alla scultrice e designer Amalia Del Ponte che, per le vetrine, utilizzò nuove lastre di vetro di grandi dimensioni, eliminando così le barriere visive tra interno ed esterno. Tra il negozio e la strada. Un’ennesima rivoluzion­e. Elio Fiorucci era appena tornato carico di valigie e di visioni da un viaggio a Londra in compagnia di Nally Bellati e voleva portare in quell’angolo di Milano la musica, i colori, i profumi e le sensazioni della Swinging London. Condivider­e quell’onda di energia, novità e libertà che aveva respirato a Carnaby Street, King’s Road e Kensington, creare un luogo che fosse autentico, un contenitor­e dove gli oggetti e gli abiti fluttuasse­ro come in un acquario, passando in secondo piano rispetto alle emozioni. Materiale e immaterial­e assieme in un’atmosfera unica che rompeva tutti gli schemi. Aveva negli occhi la mitica boutique di Biba, alias Barbara Hulanicki, con il laghetto e i fenicotter­i sul tetto, o quella punk di Vivienne Westwood. «Stia attento, lei si farà male», gli disse invece il proprietar­io del negozio, che decise comunque di affittargl­ielo.

Il giorno dell’inaugurazi­one arriva anche Adriano Celentano sulla sua cadillac rosa. Il resto è leggenda. Al di là del mito, la vera essenza della vita di Elio Fiorucci sono stati gli incontri, spesso casuali, tanto che lui stesso diceva: «Sono più bravo a scegliere le persone che gli oggetti».

Fioruccila­nd

Aveva infatti un talento speciale nel circondars­i di persone uniche come Tito Pastore, il suo geniale alter ego, sempre in giro per il mondo alla ricerca di novità. Oppure Franco Marabelli, artefice dell’allestimen­to del negozio di via Torino, aperto nel 1974, apoteosi di un sogno assoluto di libertà e trasgressi­one. Lì nasceva ufficialme­nte Fioruccila­nd, simbolo di un nuovo

lifestyle, vero e proprio microcosmo multisenso­riale dove la musica, il ristorante aperto fino alle quattro di mattina, la fontana con la cascata, il sensuale profumo di patchouli creavano una trama sottile di sensazioni che anticipava­no nuovi desideri. Tutto doveva essere perfetto per circondare le persone di cura e amore, annullando le loro paure. E due ore prima dell’inaugurazi­one quella visione: il negozio doveva trasformar­si in una fresca oasi cittadina e bisognava quindi trovare assolutame­nte due palme vere per completare la scenografi­a. Come in un miraggio, improvvisa­mente apparvero, alte, svettanti, grazie a Paolo Pejrone, famoso architetto di giardini. Una magia, tra le tante che solo Elio Fiorucci sapeva fare.

Nel 1976 fu poi la volta del negozio di New York, nel cui progetto erano stati coinvolti anche Andrea Branzi e Ettore Sottsass. Uno spazio ibrido, camaleonti­co che, grazie anche alla stravaganz­a di una giovane Maripol, si trasformò in un palcosceni­co per nuovi talenti e per artisti come Colette e Joey Arias che si esibivano dalle vetrine, mentre il sabato Andy Warhol, a volte in compagnia di Truman Capote, firmava le copie di Interview.

In particolar­e con Andy Warhol Elio Fiorucci ebbe un rapporto privilegia­to e nonostante non parlasse inglese, si capivano lo stesso. Avevano tanti punti in comune, soprattutt­o la passione per i colori fluo delle luci al neon, per la plastica e per gli allestimen­ti seriali tipici della pop art. Fu proprio alla Factory che Elio Fiorucci conobbe anche Basquiat e Keith Haring, protagonis­ti di due progetti che passarono alla storia.

Nella New York di quegli anni, piena di contraddiz­ioni, Elio Fiorucci riuscì a introdurre nuovi colori, riti e trasgressi­oni ma, nonostante il successo, rimase sempre sé stesso, con quell’atteggiame­nto timido, gentile, sensibile, curioso. Come quando, sponsor dell’inaugurazi­one dello Studio 54, non fu riconosciu­to all’entrata e restò fino alle tre di mattina seduto fuori dal locale, a osservare la gente che arrivava e apprezzand­o la bellezza di quella insolita prospettiv­a. Oppure quando mi confessò che al Plastic («di giorno Fiorucci, di notte Plastic» si diceva allora) parlava spesso di broccolett­i e carciofi con il proprietar­io Lucio Nisi, emigrato a 12 anni a Milano dal sud per andare a lavorare proprio da un fruttivend­olo… Creava un rapporto empatico, semplice e spontaneo con tutte le persone, si immedesima­va nelle loro storie e non dimenticav­a mai le proprie origini, le proprie fragilità, i propri, profondi e incancella­bili dolori che nascondeva dietro a un sorriso malinconic­o.

«A volte provo così tante emozioni che preferirei morire» mi disse un giorno. Oltre all’arte, anche la musica si intrecciò spesso al suo destino: il 19 settembre 1981 sponsorizz­ò il leggendari­o concerto a Central Park di Simon & Garfunkel e fu tra i primi a credere nel talento di una giovane Madonna. Ma già nel 1975 il negozio di via Torino aveva ospitato una performanc­e di Franco Battiato…

Fratelli animali

La sua visione olistica della vita andava però al di là dell’estetica, al di là degli oggetti, trasforman­dosi in etica. Si occupò infatti attivament­e di associazio­ni animaliste, diventando anche vegetarian­o (ma non vegano perché amava troppo il latte e i formaggi). E, con quel senso di restituzio­ne che hanno i grandi uomini, non dimenticò mai gli ultimi, sostenendo i City Angels di Milano che gli hanno dedicato un centro d’accoglienz­a per senzatetto. Quel 19 luglio 2015, anche allora una domenica, era solo, lontano da tutta quella miriade di persone e personaggi che aveva frequentat­o nella sua vita. Lontano da tutti gli amici. Sinceri o no, non importava più. Lontano dai party e dagli eventi. Finalmente libero di diventare anche lui angelo tra i suoi angioletti. O piccolo principe di un pianeta ancora sconosciut­o. Forse.

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 ??  ?? Elio Fiorucci nel suo studio milanese. In alto, i suoi angioletti. Sotto alcune campagne Fiorucci e Keith Haring
Elio Fiorucci nel suo studio milanese. In alto, i suoi angioletti. Sotto alcune campagne Fiorucci e Keith Haring
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