UN’ORGANIZZAZIONE DI EBREI ISRAELIANI AIUTA I GAY PALESTINESI
Il cedro verde è riconoscibile sugli scaffali di tutti i supermercati. La tahini Al Arz (com’è chiamato in arabo l’albero simbolo del Levante) è la più diffusa in Israele ed è prodotta dalla famiglia Zaher a Nazareth. La moglie del fondatore morto nel 2003 dirige l’impresa che da locale è diventata globale e ha deciso di usare parte dei profitti ricavati dai piccoli semi di sesamo per piantare qualcosa di buono: aiutare le persone Lgbtq arabo-israeliane. Assieme all’associazione Aguda mette a disposizione un numero che i ragazzi e le ragazze possono chiamare per chiedere aiuto. Aiuto in questo caso vuol dire spesso protezione dalle famiglie: l’omosessualità è stigmatizzata tra gli arabi israeliani, che rappresentano il 20 per cento della popolazione nel Paese. Il gesto di Julia è stato condannato dalla sua comunità e una campagna rilanciata da Facebook vuole incentivare i selfie del boicottaggio: comprare una confezione di crema di sesamo Al Arz e filmarsi mentre viene buttata nella spazzatura. Alcuni gruppi arabi che lottano per i diritti Lgbtq hanno criticato l’offensiva omofoba e allo stesso tempo attaccato la scelta di offrire i fondi ad Aguda perché l’organizzazione è guidata da ebrei israeliani. È la contraddizione in cui cascano la sinistra europea e a volte quella israeliana: la lotta contro l’occupazione dei territori palestinesi confonde qualunque altra sfida per i diritti, mischia possibili alleati con i nemici. Lo spiegano i volontari di Aguda: «Riconosciamo le sofferenze dei palestinesi. Ma se vogliono il rispetto dei loro diritti politici, devono imparare a rispettare quelli di chi è diverso». Sono loro a soccorrere i gay palestinesi, che entrano clandestini in Israele. Li aiutano a girare senza paura tra le strade di Tel Aviv, una città apertissima dove ogni anno la sfilata del Gay Pride accoglie 300 mila persone da tutto il mondo.