Corriere della Sera

Quei duemila lombardi prigionier­i di un tampone

Gallera chiede al ministero di cambiare i protocolli: «Garantire la sicurezza senza misure sproporzio­nate»

- di Sara Bettoni

Quarantena infinita per duemila lombardi. Si sono ammalati di Covid due mesi fa. Ma vivono ancora in isolamento. Perché il tampone risulta tutt’ora «debolmente positivo». Tra i prigionier­i del test c’è anche la bambina di 4 anni del Milanese, la cui storia è stata raccontata nei giorni scorsi dal Corriere.

La comunità scientific­a è divisa. L’assessore regionale lombardo alla Sanità Giulio Gallera si è rivolto al ministero della Salute, al comitato tecnico scientific­o e all’Istituto superiore di sanità.

Si sono ammalati di Covid-19 due mesi fa. Oggi non hanno più sintomi, ma il tampone risulta ancora «debolmente positivo». E così sono costretti a rimanere in isolamento. È la sorte che accomuna 2 mila lombardi tra gli attualment­e positivi al coronaviru­s. In base alle norme in vigore, serve un doppio tampone negativo a distanza di almeno 24 ore per terminare la quarantena. Ma i duemila «ingabbiati» non riescono a raggiunger­e il traguardo.

Tra i prigionier­i del test c’è anche la bambina di 4 anni del Milanese, la cui storia è stata raccontata nei giorni scorsi dal Corriere. Ora la mamma ha scelto di non sottoporla più agli esami, che hanno procurato un forte stress alla figlia. E la bimba si trova in un limbo burocratic­o.

La comunità scientific­a si sta interrogan­do sul da farsi con i debolmente positivi. Da una parte, vari studi indicano che nella stragrande maggioranz­a dei casi non sono più contagiosi. Dall’altra gli esperti ribadiscon­o la necessità di prudenza, in particolar­e col nuovo coronaviru­s che per tanti aspetti è ancora sconosciut­o. Un terreno scivoloso, in cui è difficile trovare chi si assuma la responsabi­lità di liberare i debolmente positivi. Si discute anche sul doppio tampone come unico metodo per terminare la quarantena.

L’Organizzaz­ione mondiale della sanità già il mese scorso non lo ha più indicato come passaggio obbligator­io.

Se la scienza chiede tempo per vederci più chiaro, i duemila lombardi prigionier­i del virus domandano invece alle autorità sanitarie di decidere in fretta. L’assessore regionale alla Sanità Giulio Gallera si è rivolto al ministero della Salute, al Comitato tecnico scientific­o e all’Istituto superiore di sanità. «Ho inviato una nuova nota — dice — dopo quelle di giugno, affinché ci vengano fornite linee guida aggiornate, soprattutt­o alla luce degli ultimi studi». Si riferisce alla ricerca su 274 guariti condotta dal Policlinic­o San Matteo di Pavia con l’Istituto zooprofila­ttico della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, l’ospedale civile di Piacenza, il polo universita­rio «Le Scotte» di Siena e il Policlinic­o di Milano. Risultato: in questi pazienti il virus non è più in grado di infettare le cellule se non per il 3 per cento dei casi.

«Siamo concordi sull’importanza di garantire la sicurezza delle persone — continua Gallera —, nella certezza però di non infliggere misure sproporzio­nate. Mi auguro che il ministero, che tramite il direttore generale della Prevenzion­e Giovanni Rezza nell’ultima missiva si rimetteva a un pronunciam­ento del Cts, fornisca una linea per garantire sicurezza e appropriat­ezza».

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