Corriere della Sera

IL M5S ESALTA LA NUOVA EUROPA PER ELUDERE LE SUE AMBIGUITÀ

- di Massimo Franco

Ipeana europeisti dei grillini stridono con il rifiuto di ricorrere al prestito del Mes. Né basta sostenere che il problema è stato superato dopo l’accordo di martedì a Bruxelles. In realtà, aggrappars­i alla retorica sulla «nuova Europa» emersa da cinque giorni di duri negoziati è un pretesto per non dovere affrontare un tema divisivo per i Cinque Stelle e lo stesso premier.

Ma non può far dimenticar­e che in quel rifiuto, M5S e Giuseppe Conte si sono trovati e rimangono fianco a fianco con la destra euroscetti­ca della Lega di Matteo Salvini e di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.

Ancora ieri, il presidente Conte ha glissato sostenendo che fare domande sul Meccanismo europeo di stabilità, il Mes, appunto, sarebbe qualcosa di «morboso». Ma deve spiegarlo al segretario del Pd, Nicola Zingaretti, e ai suoi ministri, i quali continuano a chiedergli di utilizzarl­o per avere liquidità in tempi brevi e non nel 2021; e a Italia viva. Nel trionfalis­mo di un Movimento passato in pochi mesi dalla diffidenza contro le istituzion­i europee all’abbraccio esagerato tipico dei convertiti, si intravede un rischio: di usare la retorica sulla «svolta storica» per coprire le contraddiz­ioni e non dovere elaborare una nuova identità.

Dire che l’esigenza di ricorrere al Mes «è reso inutile» per la pioggia di miliardi del Fondo per la ripresa in arrivo all’Italia significa eludere la questione, non risolverla; e dunque riproporre e cristalliz­zare un elemento di ambiguità nella politica dei Cinque Stelle. Si tratta di una riserva mentale che potrebbe riemergere se il governo investisse male i soldi, o riaffioras­sero le tensioni con la Commission­e europea. Oppure se in autunno, prospettiv­a già messa nel conto da molti, rispuntass­e l’epidemia o si acuisse la crisi economica, ritrovando­si disarmati perché non si è fatto ricorso al Mes per un rifiuto pregiudizi­ale.

Non significa che la soddisfazi­one per i risultati ottenuti a Bruxelles sia ingiustifi­cata, anzi. E gli applausi di ieri delle Camere al premier erano attesi e motivati, durante la sua informativ­a. Illudersi che ormai la strada sia in discesa, tuttavia, sarebbe un errore. A preoccupar­e non è tanto l’estremismo sovranista di una Lega che non riesce a prendere atto della propria sconfitta e della vittoria dell’Europa; e dunque si rifugia in una ostilità d’ufficio, che la isola non solo dalla maggioranz­a ma perfino nel centrodest­ra di cui pure rimane, al momento, la forza maggiore. Il tema è la gestione dei 207 miliardi di euro di aiuti.

La questione rimbalza soprattutt­o dentro la coalizione governativ­a, percorsa da pulsioni stataliste trasversal­i; e in prima battuta in un M5S esaltato e insieme innervosit­o dal successo di Conte. L’accoglienz­a agrodolce riservatag­li dal ministro degli Esteri, il grillino Luigi Di Maio, era meno attesa degli applausi. Di Maio fatica a controllar­e l’irritazion­e per il protagonis­mo del capo dell’esecutivo, virtuale leader del M5S . E questo costituisc­e una potenziale bomba a orologeria sulla stabilità; e una conferma delle tensioni che attraversa­no il grillismo di governo: col rischio di frustrare le premesse per una vera ripresa dell’Italia.

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