IL M5S ESALTA LA NUOVA EUROPA PER ELUDERE LE SUE AMBIGUITÀ
Ipeana europeisti dei grillini stridono con il rifiuto di ricorrere al prestito del Mes. Né basta sostenere che il problema è stato superato dopo l’accordo di martedì a Bruxelles. In realtà, aggrapparsi alla retorica sulla «nuova Europa» emersa da cinque giorni di duri negoziati è un pretesto per non dovere affrontare un tema divisivo per i Cinque Stelle e lo stesso premier.
Ma non può far dimenticare che in quel rifiuto, M5S e Giuseppe Conte si sono trovati e rimangono fianco a fianco con la destra euroscettica della Lega di Matteo Salvini e di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.
Ancora ieri, il presidente Conte ha glissato sostenendo che fare domande sul Meccanismo europeo di stabilità, il Mes, appunto, sarebbe qualcosa di «morboso». Ma deve spiegarlo al segretario del Pd, Nicola Zingaretti, e ai suoi ministri, i quali continuano a chiedergli di utilizzarlo per avere liquidità in tempi brevi e non nel 2021; e a Italia viva. Nel trionfalismo di un Movimento passato in pochi mesi dalla diffidenza contro le istituzioni europee all’abbraccio esagerato tipico dei convertiti, si intravede un rischio: di usare la retorica sulla «svolta storica» per coprire le contraddizioni e non dovere elaborare una nuova identità.
Dire che l’esigenza di ricorrere al Mes «è reso inutile» per la pioggia di miliardi del Fondo per la ripresa in arrivo all’Italia significa eludere la questione, non risolverla; e dunque riproporre e cristallizzare un elemento di ambiguità nella politica dei Cinque Stelle. Si tratta di una riserva mentale che potrebbe riemergere se il governo investisse male i soldi, o riaffiorassero le tensioni con la Commissione europea. Oppure se in autunno, prospettiva già messa nel conto da molti, rispuntasse l’epidemia o si acuisse la crisi economica, ritrovandosi disarmati perché non si è fatto ricorso al Mes per un rifiuto pregiudiziale.
Non significa che la soddisfazione per i risultati ottenuti a Bruxelles sia ingiustificata, anzi. E gli applausi di ieri delle Camere al premier erano attesi e motivati, durante la sua informativa. Illudersi che ormai la strada sia in discesa, tuttavia, sarebbe un errore. A preoccupare non è tanto l’estremismo sovranista di una Lega che non riesce a prendere atto della propria sconfitta e della vittoria dell’Europa; e dunque si rifugia in una ostilità d’ufficio, che la isola non solo dalla maggioranza ma perfino nel centrodestra di cui pure rimane, al momento, la forza maggiore. Il tema è la gestione dei 207 miliardi di euro di aiuti.
La questione rimbalza soprattutto dentro la coalizione governativa, percorsa da pulsioni stataliste trasversali; e in prima battuta in un M5S esaltato e insieme innervosito dal successo di Conte. L’accoglienza agrodolce riservatagli dal ministro degli Esteri, il grillino Luigi Di Maio, era meno attesa degli applausi. Di Maio fatica a controllare l’irritazione per il protagonismo del capo dell’esecutivo, virtuale leader del M5S . E questo costituisce una potenziale bomba a orologeria sulla stabilità; e una conferma delle tensioni che attraversano il grillismo di governo: col rischio di frustrare le premesse per una vera ripresa dell’Italia.