Rocco Casalino, l’ombra di Conte Un portavoce alla Hitchcock
«Apposta», scrisse usando solo lettere maiuscole l’attore e conduttore televisivo Luca Bizzarri nel segnalare su Twitter («Ve lo dico perché è il mio mestiere») che quell’inquadratura del premier Giuseppe Conte era stata studiata «apposta» per farci entrare Rocco Casalino, che all’epoca dell’emergenza coronavirus piombava nelle case degli italiani assieme al presidente del Consiglio e al carico di novità annunciate coi Dcpm. Quella sera in particolare si era all’alba della fase 3, molte delle nostre abitudini delle settimane precedenti erano destinate a cambiare e quindi a suo modo il momento, suggellato dalla presenza sugli schermi del duo, era storico.
Altro momento storico, stavolta a Bruxelles, altra presenza di coppia. Chiuso l’accordo sul Recovery fund, sul red carpet comunitario su cui s’appalesano i protagonisti del Consiglio europeo di fronte ai teleobiettivi di tutto il pianeta, sfila da sola Angela Merkel, cammina da solo Charles Michels, passeggia in solitaria anche Emmanuel Macron e pure il frugale premier olandese Mark Rutte non ha compagnia alcuna; ma quando è l’ora dell’Italia, invece che da solo, Conte si materializza con il suo portavoce accanto.
Sintesi perfetta tra il biblico «siede alla destra del Padre» o il televisivo «alla sinistra del vostri teleschermi», Casalino inanella presenze sulla scena che alle malelingue danno l’opportunità di ricordare perfidamente il suo passato da concorrente di reality show. Posto che il suo video presenzialismo è un dato del problema, resta l’interpretazione, sui cui ammiratori e detrattori si dividono, e pure maggioranza e opposizione. È il grande regista di tutte le operazioni che prova piacere nel mostrarsi anche solo per qualche secondo, come Hitchcock nei camei dei film che dirigeva, tesi prediletta da chi fa la guerra a Conte? O è il biondino degli 883, presenza muta e danzante all’epoca del duo in cui cantava comunque sempre e solo l’altro, ipotesi accarezzata da chi fa la guerra a lui?
E dire che il battesimo sulla scena internazionale non era stato dei più convincenti, almeno plasticamente. Giugno 2018, neanche una settimana dopo l’incarico di Conte. Casalino, fresco di divorzio consensuale dal M5S e freschissimo di nomina alla tolda di comando della comunicazione del governo, sbarca assieme al premier in Canada, al G7. E visto che il premier si stava intrattenendo coi giornalisti — «Sono il portavoce degli italiani» — il portavoce lo prendeva e lo portava via, lasciando una cronista con la domanda appesa («E i dazi, presidente?»).
Era l’epoca in cui andava di moda la tesi secondo cui Di Maio e la Casaleggio associati avessero mandato lui, Casalino, a eteroguidare le mosse di Conte o comunque a sorvegliarlo. L’epoca in cui Casalino iniziava a sperimentare il ruolo di Signor Malaussène, il capro espiatorio del ciclo di romanzi di Daniel Pennac, pronto per essere attaccato da nemici e avversari al posto del premier. D’altronde, per tutti gli italiani (caso unico e forse irripetibile della storia repubblicana) era più famoso il portavoce che la voce.
Sembra passato un secolo. Ora a litigare — dietro le quinte — sono Di Maio e Conte. E Casalino, che può ascriversi quantomeno una parte della popolarità mediatica del premier, comunque sa da che parte stare. Che è poi quella in cui appare in tv. Biblicamente alla destra del padre o comunque, spettatrici e spettatori, alla sinistra dei vostri teleschermi. Anche in Eurovisione.