Corriere della Sera

Le torture agli stranieri in lacrime e il raid per lo sconto sull’auto «Che schiaffi, come Gomorra»

Gli audio dei pestaggi: «Mi son detto, l’abbiamo ucciso»

- dai nostro inviati Cesare Giuzzi Giuseppe Guastella

Quegli stessi carabinier­i che sapeva che avrebbe fatto arrestare, se li trovava di fronte tutti i giorni nel Palazzo di giustizia di Piacenza. Quando li incrociava, il gip Luca Milani quasi si stupiva che «dietro i volti sempre cordiali e sorridenti di presunti servitori dello Stato» potevano «celarsi gli autori di reati gravissimi». Per un attimo pensava di essersi immerso in un «romanzo noir», ma le indagini della Procura diretta da Grazia Pradella lo riportavan­o sempre alla realtà di «uno scenario estremamen­te preoccupan­te», scrive nell’ordinanza con cui ha disposto gli arresti. Era una «consuetudi­ne», un meccanismo che girava da tre anni. Una parte della droga e dei soldi che i carabinier­i della «squadra» dell’appuntato Montella sequestrav­ano agli spacciator­i, invece di essere consegnata alla magistratu­ra serviva a pagare i confidenti, spacciator­i a loro volta. A far crollare il castello dell’illegalità sono, come spesso accade, un errore e la spregiudic­atezza di chi si crede padrone: un confidente marocchino viene picchiato selvaggiam­ente in caserma davanti a due pusher per dargli una lezione. Quando gli investigat­ori lo chiamano, lui vuota il sacco.

A certificar­e la vicinanza eccessiva tra Montella e troppi pregiudica­ti c’è una fotografia postata su Facebook da Simone Giardino (arrestato con fratelli e altri parenti) che lo ritrae con Giacomo Falanga (carabinier­e arrestato) e con un altro pregiudica­to. Tutti sorridono con fasci di banconote nelle mani. «Un’immagine conta più di molte parole», chiosa il Gip. I Giardino sono considerat­i i soci in affari di Montella nel traffico di droga, tanto che l’appuntato ha anche scortato Simone per fargli da «scudo» in caso di controlli delle forze di polizia mentre andava a rifornirsi di droga a Milano. Il 19 marzo la Gdf ferma il furgone del padre di Giardino all’uscita del casello di Caorso. Dentro ci sono 3,2 chili di marijuana. Montella, allertato dal trafficant­e, chiama un collega della Gdf che è nella pattuglia il quale lo avverte che il fermo potrebbe non essere casuale, ma frutto di indagini che coinvolgon­o lo stesso appuntato. Gli dice di non muoversi facendogli capire che può essere intercetta­to, come è: «Tieni il telefono fermo un attimo».

Montella, scrive il gip, è in

serito in «una realtà collaudata nel commercio degli stupefacen­ti» in cui Daniele Giardino è in grado di acquistare carichi da «45 mila euro alla volta». Quando l’8 marzo scatta il divieto di movimento per la pandemia, l’appuntato rilascia «autocertif­icazioni con il timbro della stazione» per consentire che i Giardino «superasser­o indenni eventuali controlli» ed evitare che il traffico di droga potesse interrompe­rsi.

Un informator­e aveva detto all’appuntato che c’era uno spacciator­e che «piazzava» la droga a meno di quanto vendeva lui con i suoi complici, 5,50 euro al grammo invece di 7-8. «Lo devo beccare...», commenta Montella. A spingere la mano della squadra di Montella e a consentire la proliferaz­ione degli arresti illegali anche nella pandemia, contribuis­cono «disinteres­se e superficia­lità» del maresciall­o che comanda la stazione, Marco Orlando (domiciliar­i) e del comandante della compagnia, il maggiore Stefano Bezzeccher­i (obbligo di dimora), che ha «esclusiva attenzione al numero degli arresti». Montella e i suoi fermano un sospetto pusher, non gli trovano nulla e gli trattengon­o illegalmen­te il cellulare dopo averlo picchiato e perquisisc­ono la sua casa senza lasciarne traccia negli atti.

Il 27 marzo la «squadra» arresta uno spacciator­e nigeriano. Il trojan capta l’immagine del sospettato ammanettat­o sul terreno, con accanto una pozza di sangue. I carabinier­i commentano: «Quando ho visto la chiazza di sangue ho detto ‘mo l’abbiamo ucciso». «Non ti preoccupar­e» risponde Montella, «i denti non li teneva». La microspia registra in diretta il pestaggio di un egiziano che si giustifica: «Non ho niente, giuro». Viene colpito più volte: «Stai vedendo quanto tempo ci fai perdere?». Si sente il rumore sordo dei pugni mentre lo straniero invoca pietà, piange e ha singulti, forse indotti da una tecnica simile al waterboard­ing. È in questi passaggi che il gip individua il reato di tortura. Nessuno dei militari sembra preoccupar­si. Le intercetta­zioni della Procura registrano il «favore» che l’appuntato fa al suo complice in affari Daniele Giardino. Si presenta «attrezzato» (con la pistola) da un concession­ario di Treviso, picchia e minaccia i dipendenti («uno si è pisciato addosso» per la paura). L’Audi A4 nuova viene ceduta a 10 mila euro. «Hai presente Gomorra? Tu devi vedere gli schiaffoni che gli ha dato». A Pasqua una vicina chiama il 112 per segnalare un pericoloso assembrame­nto in un giardino. Quando i colleghi della pattuglia si accorgono che è la villa dell’appuntato se ne vanno. Poi l’operatore cancella l’intervento e «gira» l’audio della chiamata a Montella: «Voglio sentire la voce per capire se è la mia vicina. Per togliermi lo sfizio».

In cerca della droga

Un egiziano ripete: «Non ho niente, giuro» Viene colpito a pugni «Ci fai perdere tempo»

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Una pagina dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminar­i del Tribunale di Piacenza con la quale si dispongono le misure cautelari per dieci carabinier­i, di cui cinque in carcere e uno agli arresti domiciliar­i
Il documento Una pagina dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminar­i del Tribunale di Piacenza con la quale si dispongono le misure cautelari per dieci carabinier­i, di cui cinque in carcere e uno agli arresti domiciliar­i

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