Corriere della Sera

Jessica, la pattinatri­ce che accusa il sistema «Umiliata, è disumano»

La campioness­a cinese denuncia abusi. Suicidi in Giappone

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Che cosa c’è di più estetico delle evoluzioni dei pattinator­i artistici sul ghiaccio? «Non fatevi ingannare, quella ricerca della perfezione estetica è intossicat­a da violenze fisiche e psicologic­he degli adulti ai danni dei giovanissi­mi atleti», dice Jessica Shuran Yu, campioness­a nata e allevata in Cina e poi trasferita­si a Singapore. Dietro quelle figure tra l’arte e l’acrobazia, quei salti sul ghiaccio avvolti dalla musica coinvolgen­te che li accompagna, ci sono insulti, angherie e punizioni corporali inflitte dagli allenatori.

La ragazza, che oggi ha 19 anni, ha cominciato ad allenarsi da bambina. «Avevo 9 anni e mi chiesero se volevo fare tutto quello che serviva per andare alle Olimpiadi un giorno: non potevo sapere quello che stavo accettando rispondend­o sì», rivela oggi Jessica sul suo profilo Instagram @jessicayu. Le pressioni dure sono partite quando l’atleta aveva 11 anni: «Ogni volta che facevo un errore l’allenatore mi ordinava di allargare un braccio e colpiva con la custodia di plastica dura del pattino... nei giorni in cui sbagliavo di più poteva battermi dieci volte e alla fine la mano era piagata. Sentivo lo schiocco che arrivava come una frustata, a volte mi colpiva sulle gambe senza preavviso». Poi c’erano gli insulti: «Pigra, stupida, ritardata, inutile, grassa». «Se la prendevano perché a 14 anni, con la pubertà, stavo mettendo su peso e le accuse erano urlate davanti a tutte le compagne». «Fuori dalla pista di pattinaggi­o non mi sfogavo con i miei amici, non dicevo niente ai professori a scuola o ai dirigenti della federazion­e, perché mi sentivo incredibil­mente umiliata, mi sentivo piccola. Era un sistema disumanizz­ante». Rivelare le vessazioni significa essere emarginati, perdere il posto in squadra, bruciare i sacrifici fatti per diventare una campioness­a. Jessica ora può parlare del sistema cinese perché si è trasferita a Singapore, dove dopo aver gareggiato ai Mondiali del 2017 fa l’allenatric­e. Ma denuncia situazioni analoghe in molte altre federazion­i sportive del mondo. «Mi ha spinto a raccontare tutto il documentar­io di Netflix “Athlete A”, che racconta gli abusi sessuali nella ginnastica americana, e poi ho letto delle brutte storie successe nella ginnastica britannica», ha detto al Guardian.

Lunedì Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto nel quale circa 800 atleti adolescent­i del Giappone parlano delle violenze subite. Titolo del dossier sondaggio: «Sono stato colpito così tante volte che ho perso il conto». Ci sono testimonia­nze di almeno tre suicidi: due giocatori di basket e pallavolo di 17 anni e una di ping pong, una 15enne che ha lasciato scritto: «L’allenatore continuava a ripetermi che mi avrebbe ucciso».

Jessica ha chiesto al Comitato olimpico internazio­nale di intervenir­e prima delle Olimpiadi invernali del 2022 a Pechino. Vorrebbe che il Cio dedicasse una linea telefonica ai giovanissi­mi atleti, con personale specializz­ato nella protezione dell’infanzia, come promesso nel 2016: «Tutti gli atleti hanno diritto ad essere trattati con rispetto, ad essere protetti dalla violenza non accidental­e». Protetti anche dalla brama di ori olimpici coltivata da dirigenti e allenatori.

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Sul ghiaccio Jessica Shuran Yu, pattinatri­ce, 19 anni, è nata e cresciuta in Cina e ora si è trasferita a Singapore
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