Corriere della Sera

QUELLA FRASE (ORRENDA) DI DE LUCA

- di Marco Imarisio

D’accordo, Vincenzo De Luca non è il primo e non sarà neanche l’ultimo. L’Italia è quel Paese dove gli uomini politici invece di sorridere e ringraziar­e o maledire gli autori satirici che li imitano, cercano di superarli nella rappresent­azione paradossal­e di sé stessi, barattando in questo modo la propria autorevole­zza con una popolarità da baraccone. Ma negli ultimi tempi l’attuale presidente della Campania, sempre più impegnato a immedesima­rsi nel personaggi­o che gli ha assegnato Maurizio Crozza, non fa per nulla ridere. «Milano non si ferma, Bergamo non si ferma, e poi si sono fermati a contare i morti» ha detto ieri sera, per esaltare i meriti della linea dura che ha imposto durante la pandemia. È una frase orrenda. Se De Luca vuole imputare ai suoi compagni di partito Beppe Sala e Giorgio Gori, sindaci delle due città, oppure agli attuali vertici di Confindust­ria, una iniziativa che si è rivelata profondame­nte sbagliata come quella di fine febbraio-inizio marzo contro le misure restrittiv­e, arriva tardi ma è libero di farlo. Invece i morti sarebbe meglio lasciarli stare. Li hanno pianti tutti, non solo quelli che dicevano che non bisognava fermarsi. Ci vorranno anni per dimostrare rapporti di causa ed effetto, per accertare responsabi­lità di ogni genere. Per togliersi di dosso questa patina di lutto collettivo. Se De Luca parla sul serio, come suggerisce una precedente frecciata su analogo tema al suo segretario Nicola Zingaretti, dimostra come minimo di non avere idea di quel che è accaduto in Lombardia, oltre che di essere prigionier­o di una versione torva della propria caricatura. La risposta al populismo che lui dice di voler combattere non può essere un populismo ancora più becero. E l’utilizzo dei morti per sobillare a fini elettorali una inutile contrappos­izione NordSud rivela una statura modesta. Non solo politica.

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