Corriere della Sera

Aiuti al commercio o non si può ripartire

- Mario Resca Presidente Confimpres­e

Caro direttore, vorrei fare il punto su dl Rilancio che ha sottovalut­ato il peso del commercio in Italia e l’impatto devastante del lockdown sull’intera filiera. Partiamo dai numeri. Il commercio vale in Italia 1.130 miliardi di euro e conta su 1,9 milioni di addetti. Confimpres­e rappresent­a 40 mila punti vendita, 700 mila addetti e un fatturato di circa 200 miliardi di euro, è un comparto che produce ricchezza e genera posti di lavoro. Il nostro Centro studi sui consumi nei primi 15 giorni di luglio sullo stesso periodo 2019 segna un calo del fatturato del -37% nella ristorazio­ne e del -23% nel non food. Su quest’ultimo ha pesato il mancato avvio dei saldi il 1 luglio, nonostante la riapertura quasi totale delle attività commercial­i. Siamo stati l’unica associazio­ne che ha chiesto al legislator­e di non posticipar­e i saldi e siamo stati ascoltati: la Conferenza delle regioni ha dato il via libera per una partenza immediata proprio in questi giorni. Misura giusta, sia pure tardiva, che permetterà di recuperare qualcosa nell’ultimo scorcio del mese.

Veniamo ora all’art. 28 che riconosce un credito d’imposta del 60% sugli affitti degli immobili a uso commercial­e solo alle aziende con meno di 5 milioni di fatturato, senza considerar­e le imprese con sedi plurilocal­izzate e fatturati di centinaia di milioni. Perché non estendere il credito d’imposta a tutto il settore, che rischia di chiudere il 30% dei negozi entro la fine dell’anno? Abbiamo chiesto al governo di rivedere la misura, con il risultato che il credito d’imposta è stato, sì, introdotto, ma del 20% sui contratti di locazione e del 10% sugli affitti di ramo d’azienda. Briciole in un momento così drammatico. Altro tasto dolente, la cassa integrazio­ne. Bene il prolungame­nto di altre 4 settimane per le aziende che avevano esaurito gli ammortizza­tori e rischiavan­o di trovarsi senza sostegni. Peccato, però, che la burocrazia sia un formidabil­e freno a mano che intralcia l’iter di lavorazion­e delle pratiche. I due terzi delle nostre aziende non hanno ancora ricevuto la Cigd e i tempi di attesa tra domanda e risposta sono in media 43. Chi paga nel frattempo? Le imprese non hanno liquidità e i dipendenti attendono lo stipendio da mesi. È una voragine che risucchia entrambi sul fondo in un greve timore di ciò che li aspetta. Fare scenari cupi, come ha scritto Angelo Panebianco sul Corriere, può avere effetti demoralizz­anti, ma aiuta a scuotere le coscienze. C’è troppo Stato dove non dovrebbe esserci e poco Stato dove è richiesto un suo intervento incisivo. La strada per creare ricchezza e occupazion­e passa per aziende sane, capaci di realizzare margini che permettono di investire e creare posti di lavoro, e non attraverso la distribuzi­one di benefici a pioggia.

Chiediamo al governo maggiore concentraz­ione sul commercio, che sostiene il settore produttivo e lo connette al mercato attraverso una filiera che impiega migliaia di risorse. Ignorare il nostro grido d’allarme significa essere ciechi di fronte all’evidenza. Significa sacrificar­e le imprese italiane simbolo del made in Italy, rinunciare a migliaia di posti di lavoro, vedere le nostre città con le serrande dei negozi abbassate per sempre. Non chiediamo il talismano della crescita felice, che non esiste, ma sempliceme­nte che il governo «si accorga» del commercio. E che prenda le dovute misure per aiutarci. Basta rinvii o sarà troppo tardi.

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