«No alla satira politica»
Paolo Rossi: «Bastano i leader, comici involontari La censura? L’ho sempre sfruttata senza vittimismi»
L’intervista L’attore debutta a Verona con «Stand up Shakespeare»
«Un giorno, mentre ero al volante della mia macchina, mi ferma una pattuglia per i soliti controlli. Un carabiniere mi chiede la patente e, leggendo Paolo Rossi, mi dice: “È il fratello del calciatore?”. Gli rispondo: scusi, ma secondo lei una famiglia chiama tutti i figli con lo stesso nome?».
L’attore, e non il calciatore omonimo, torna in scena con Stand up Shakespeare al Teatro Romano di Verona il 31 luglio, nell’ambito dell’Estate teatrale veronese. Lo spettacolo coniuga stand-up comedy e commedia dell’arte, un universo artistico con cui il più rock dei comici italiani si è spesso confrontato. «È un’affabulazione - spiega Rossi - sono un cantastorie con i musici. Tra allusioni e fantasie, rubo personaggi alle opere del Bardo: da Amleto a Shylock; da Riccardo III a Falstaff... Mi piace rubare, l’ho imparato da un mio maestro».
Chi?
«Dario Fo diceva: rubare in teatro è da geni, copiare è da fessi. Una bella frase, che però lui aveva a sua volta rubato a Picasso, che l’aveva a sua volta rubata ad altri. Ora è mia. D’altronde, io ho rubato molto proprio a Dario, mentre spiavo da dietro le quinte i suoi spettacoli, capivo soprattutto i segreti della sua satira».
Ma la satira oggi che direzione prende?
«Oggi la fanno, involontariamente, i politici i quali, tanti anni fa, quando venivano ridicolizzati si arrabbiavano, poi hanno cominciato a capire che, più venivano presi di mira, più diventavano famosi. E quando alcuni di loro hanno cominciato a farmi i complimenti per come li sfottevo e a chiedermi consigli, ho capito che la satira era finita. L’unica satira possibile, ora, deve essere visionaria, senza riferimenti precisi a qualcuno».
Così si evitano possibili censure?
«Sono stato spesso censurato in tv, ma non ho mai fatto la vittima, anzi, mi divertivo perché, quando venivo censurato, la gente si incuriosiva e poi riempiva i teatri per assistere agli spettacoli del “censurato”. Non sono un bravo ragazzo, per fare questo mestiere occorre follia e ho sfruttato la censura in positivo. Una delle tante volte è stata stupefacente: la Rai censurò la messa in onda dello spettacolo Questa sera si recita Molière, accusandomi di blasfemia. Ma non c’entrava niente la religione, l’obiettivo della satira era Berlusconi, a meno che non lo considerassero un dio».
Un cattivo ragazzo. I suoi genitori ne erano preoccupati?
«All’inizio non l’hanno presa tanto bene. Mio padre, che oggi ha 96 anni, lavorava in un’industria chimica, e io sono perito chimico perché dovevo continuare la tradizione di famiglia. Ma mio nonno, prima di lavorare in fabbrica, faceva l’attore, ha recitato nella compagnia di Rosso di San Secondo e nel cabaret. Poi ha fondato una filodrammatica, ma in seguito ha dovuto riatro nunciare e così, a casa, vedevano il mio desiderio di fare l’attore come un fallimento. Siccome non c’era verso per distogliermi, alla fine si sono arresi... contenti».
Fare teatro in emergenza Covid-19, le comporta problemi?
«Una volta ho provato imbarazzo. I primi di luglio ho portato in scena al Piccolo Telo spettacolo Pane e libertà. Mi era venuta l’idea di fare un numero scherzoso, mettendomi la mascherina anti coronavirus, ma Milano è stata purtroppo il fronte del virus e, quando ho visto che il pubblico, pur potendosela togliere, continuava a tenerla, ho capito che non era il caso: la mia sembrava una presa in giro».
Insomma, niente sarà più come prima?
«Assolutamente no, sono saltati tutti i paletti, ma il problema non è tornare alla normalità, che per me è il vero problema. Ogni ostacolo va trasformato in un’opportunità creativa per innovare. Il pubblico oggi ha voglia di uscire di casa, ha bisogno di essere
Follia Non sono un bravo ragazzo, per fare questo mestiere ci vuole follia Il maestro è Dario Fo
sorpreso: la sorpresa è rinascita, rigenerazione. L’ho verificato quando di recente ho fatto teatro nei cortili di periferia a Milano, dove gli spettatori sono più ruspanti, meno educati degli abbonati di una sala teatrale, e se una cosa non gli va bene te lo dicono in faccia, ma erano contenti di essere strappati da casa e ritrovarsi insieme. La pandemia può rappresentare una grande occasione proprio per i teatranti. Lo spettacolo dal vivo è, come al tempo dei greci, un’arena insostituibile».