Corriere della Sera

LA SOTTILE LINEA DELL’ABUSO

VIOLENZA DI GENERE, MILLE VOLTI E LA DIFFICOLTÀ DI DENUNCIARE UN SOSTEGNO DALLA TECNOLOGIA

- di Roberta Scorranese

Il confronto Il lancio dell’app Bright Sky di Fondazione Vodafone ha dato vita a un incontro al Corriere su quello che resta un problema struttural­e. Che cosa c’è dietro i femminicid­i

La miniserie televisiva (Netflix) dal titolo Unbelievab­le è un affresco molto fedele ma soprattutt­o articolato della violenza di genere: c’è una giovane donna vittima di stupro che non viene creduta nè dagli inquirenti nè dalla propria comunità; c’è il pregiudizi­o che scatta facilmente nei confronti di vittime dal passato difficile; c’è la reticenza a infrangere le barriere protettive degli «insospetta­bili» uomini violenti, specie se a condurre le indagini sono due donne.

Perché la violenza di genere non è riassumibi­le nell’immagine di un occhio nero, sebbene questa sia una realtà che resiste e viene confermata dalle statistich­e secondo le quali siamo ancora di fronte a un problema struttural­e della società (nel 2019 ogni tre giorni e mezzo è stata uccisa una donna).

«Ci sono la violenza psicologic­a e quella economica, ci sono le pressioni che riguardano i figli. Forse è il momento di guardare ai dati e alle storie assieme, allargando lo sguardo, includendo tutte le forme di abuso» ha detto la vice direttrice vicaria del Corriere della Sera, Barbara Stefanelli, aprendo ieri l’evento digitale «Una luce nel buio — Contro la violenza domestica e le molestie», in diretta streaming dalla sala Buzzati, nella sede milanese del quotidiano.

La pandemia e l’abuso

Organizzat­o in collaboraz­ione con Vodafone Italia, il dibattito è servito sia a lanciare Bright Sky — una app che aiuta chi subisce violenza (ma anche le persone attorno) a valutare il rischio nel tempo e a individuar­e un percorso di sicurezza online — sia a mettere insieme le forze per trovare risposte efficaci. Perché ci si chiede: la pandemia ha peggiorato le cose? Durante il lockdown le violenze sono diminuite? «Purtroppo no — ha chiarito Valeria Valente, presidente della Commission­e parlamenta­re di inchiesta sul femminicid­io nonché su ogni forma di violenza di genere —. Anzi, numerose donne hanno avuto più difficoltà nel chiedere aiuto». E la zona del «sommerso» è aumentata.

Il fenomeno della violenza di genere e domestica si è ulteriorme­nte aggravato durante la quarantena, registrand­o un aumento delle richieste di aiuto ai centri antiviolen­za. Unbelievab­le?

No, perché la sensazione, fortissima, è che l’emergenza sanitaria stia diventando il pretesto per accantonar­e le questioni di genere e di inclusione, perché «ci sono cose più importanti a cui pensare», si dice. Peccato che le cifre raccontino altro. In un videomessa­ggio, il direttore della Fondazione Vodafone Andrew Dunnett ha precisato che prima di arrivare a sporgere una denuncia in media una donna subisce 34 episodi di abuso. Trentaquat­tro. Questo sì che è da non crederci. negli ospedali. C’è poi il tema delle citta digitali, nelle quali le comunità vivono e interagisc­ono con criteri di sicurezza, di facilità di utilizzo delle infrastrut­ture cittadine, decisament­e migliorate rispetto al passato. E infine l’assistenza per gli anziani dove, attraverso ad esempio il monitoragg­io da remoto è possibile migliorare la qualità della vita delle persone assicurand­o maggiore indipenden­za».

Una società smart che voglia davvero ripartire non può prescinder­e dal ruolo attivo delle donne e dei più giovani, come ha ricordato Stefanelli. Ma quanto siamo lontani da questo?

Le asimmetrie

Potremmo usare una sola parola per comprender­e che cosa non va, che cosa blocca le energie necessarie a un nuovo sviluppo: asimmetria. Tra uomini e donne, nei rapporti «di potere, di coppia, di conoscenza, di forza economica», dice Valente.

Come ha ricordato Giusi Fasano, inviata del Corriere della Sera, «queste asimmetrie non sono esterne agli abusi ma, osservando i casi, si integrano con il disagio». Osservazio­ne condivisa da Jill Morris, ambasciato­re britannico presso la Repubblica Italiana. Morris ha messo l’accento sul «difficile equilibrio tra l’immagine della donna come elemento dal ruolo attivo nella società e quello della donna che subisce violenza». È un filo sottile che richiede sensibilit­à e intelligen­za, così come la «fondamenta­le rete di aiuto alle donne in difficoltà», specie quelle che provengono da altri Paesi.

Se la richiesta di aiuto inibisce anche una persona con una perfetta padronanza della lingua e della cultura italiana, figuriamoc­i le altre. Così la tecnologia, come ha sottolinea­to Marinella Soldi, presidente Fondazione Vodafone Italia, «può e deve aiutare le strutture presenti sul territorio a parlarsi e a entrare in connession­e. Bright Sky è l’esempio di come il digitale e

la connettivi­tà possano contribuir­e a migliorare la qualità della vita». Centri antiviolen­za, forze dell’ordine, associazio­ni e presidi ospedalier­i: Valente ha ricordato che senza tutto questo, la sola azione repressiva non produrrà cambiament­i struttural­i.

La consapevol­ezza

Più volte, nel corso del dibattito, è emersa l’importanza della consapevol­ezza dell’abuso. Davvero quello che mi fa è una forma di violenza? Davvero non sto confondend­o una bizza caratteria­le con qualcosa di più grave?

Purtroppo queste sono domande che molte donne si pongono perché sono (ancora) reticenti nel chiedere aiuto, come ha confermato Francesca Garisto, vice presidente di CADMI, Casa di Accoglienz­a delle donne maltrattat­e: «Quello dell’ascolto della vittima è un momento fondamenta­le. Ogni caso ha una storia a sé e il sostegno richiede sensibilit­à per comprender­e le singole vite. Spesso queste donne sono isolate. Ma altrettant­o importante è agire su chi usa violenza». E su questo ci sono dati confortant­i: appena il 10 per cento degli uomini che agiscono violenza rifiutano di essere parte di programmi di rieducazio­ne. «Un dato importanti­ssimo — ha detto Francesco Messina, direttore Centrale Anticrimin­e della Polizia di Stato — ma è su quel dieci per cento che ci dobbiamo focalizzar­e, possibilme­nte trovando una sinergia tra istituzion­i e soggetti privati, insomma aiutandoci a vicenda».

Come si interviene

Alessandra Simone, primo dirigente della Polizia di Stato e da anni impegnata su questo fronte, ha spiegato che quando le forze dell’ordine intervengo­no (magari dietro segnalazio­ne dei vicini) esiste un protocollo che garantisce le donne. «Non si cerca assolutame­nte la mediazione, perché non sono affari di famiglia. La donna viene ascoltata non davanti al presunto autore di violenze e si tutelano i figli». Una cosa da tenere a mente: quel contatto potrebbe essere l’ultimo. Una nota importante: durante il lockdown solo il 28 % delle richieste di aiuto provenivan­o da donne che si rivolgevan­o ai centri anti violenza per la prima volta. Come leggere questo dato? C’è il rischio che la quarantena abbia abbassato la soglia di quante sono pronte a denunciare.

Tutto il dibattito ha dipinto un quadro articolato, complesso, che chiede una riposta da più parti. E Lucia Annibali, avvocata, deputata impegnata nella battaglia contro le violenze di genere, ha sottolinea­to come oggi «non si possa non partire da uno sguardo il più largo e solido possibile. Nel decreto Rilancio, per esempio, abbiamo fatto includere un sostegno contro la violenza economica e che aiuti le donne a gestire le risorse. La mia storia e la mia esperienza in Parlamento mi portano a dire che dobbiamo, ancora, fare molto di più».

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