«Quante richieste di aiuto spronate dai bambini»
Laura, volontaria: per molte la rinascita è anche solo poter prendere un caffè con un’amica
«Ricordo che in una delle nostre case rifugio c’erano dei bambini che alle otto di sera si mettevano sotto il tavolo. Non capivamo...poi ci hanno spiegato che quello era il tempo nero della giornata perché quand’erano a casa loro a quel punto il padre tornava dal lavoro ed erano sempre guai». Laura Vassalli racconta tutto questo con dolcezza, quasi che pensarci voglia dire ogni volta tendere la mano a quei bambini rannicchiati.
Laura ha contato finora 77 primavere e in questi ultimi 15 anni la sede romana del Telefono Rosa è un po’ la sua casa, la sua vita. Arrivò per imparare ad ascoltare chi ha bisogno di aiuto, per diventare una di quelle operatrici che rispondono al telefono con un impegno di poche ore a settimana. «È finita che sono lì tutto il giorno, tutti i giorni», dice con un certo orgoglio.
Le app, i numeri dedicati, i siti, le email, le denunce: non importa quale sia la modalità per uscire dal silenzio e dalla violenza. Quel che conta, alla fine, è sapere che in quel momento così difficile - quando la consapevolezza vince la paura - occorre bussare alla porta giusta, che esistono persone competenti, che una strada per farcela prima o poi si troverà. Con il tempo Laura ha imparato a riconoscere e a maneggiare il dolore delle donne vittime di violenza. Sa che non deve mai giudicare, mai spingere a favore di una denuncia, mai comportarsi da avvocata o psicologa che non è. «Il mio compito è essere accogliente e trasmettere forza e fiducia, chi ho davanti deve sapere che qui troverà chi potrà seguirla».
Ci sono giorni in cui il racconto delle vite altrui prende forma, lo puoi quasi vedere. Come fu con quella madre di tre figli che trovò il coraggio di fuggire da suo marito quando il più grandicello dei bambini - 11 anni - le disse: «Mamma, o vai via tu oppure lo faccio io». «Quel bambino arrivò nella nostra casa rifugio e ci disse: oh...finalmente dormo! Non dormiva più chissà da quanto per il terrore che il padre uccidesse sua madre».
Spesso si presentano mamme straniere che, fra le altre difficoltà, hanno il problema della lingua, dell’isolamento relazionale. Laura pesca un ricordo: «Una di loro mi disse: “ho deciso di denunciarlo perché l’ultima volta che abbiamo litigato e mi sono trovata di fronte a lui, mio figlio di tre anni si è messo in mezzo per difendermi. Lì ho capito che stavo rovinando la mia vita e la sua”. Ho rivisto quella donna dopo un bel po’. Ha trovato un lavoro, la scuola per il figlio: non può capire la soddisfazione e l’appagamento quando si vedono risultati come questo».
Qualche volta uscite dalla violenza tornano per un saluto, un consiglio. «Una signora rivedendomi mi disse: oggi ho fatto una cosa bellissima. E io: cosa? Sono andata a prendere un caffè con un’amica, rispose. Quando era arrivata da noi, suo marito le impediva di fare qualsiasi cosa..».
Nelle nostre case-rifugio dei fratellini alle otto di sera si stringevano sotto il tavolo: ci dissero che quello era l’orario in cui il papà violento tornava dal lavoro