Tamagnini, presidente ST «Il made in Italy è hi-tech»
Il presidente della società italo-francese: ST è uno dei primi produttori al mondo di semiconduttori, fattura 10 miliardi di dollari
Maurizio Tamagnini guida da amministratore delegato FSI, uno dei primi tre più grandi fondi di capitale per la crescita in Europa. Il ministero dell’Economia lo ha da poche settimane designato come presidente del Consiglio di sorveglianza di StMicroelectronics. In queste settimane in cui sta emergendo il ruolo dello Stato nell’economia, sono in tanti a guardare proprio alla società italo-francese come uno dei modelli di questa collaborazione. Tamagnini ne è convinto. «Sono i numeri che parlano».
Cosa raccontano i numeri?
«ST è uno dei primi cinque produttori al mondo di semiconduttori nei segmenti in cui opera, il principale in Europa. ST è per noi l’equivalente di una “Over the Top” per gli USA, il nostro “Tech Giant”. Fattura circa 10 miliardi di dollari, ne capitalizza oltre 25, impiega quasi 50 mila persone e investe ogni anno il 20% del proprio fatturato in ricerca e sviluppo, oltre a più del 10% per l’ammodernamento dei 6 impianti che ha in tutto il mondo. Nei soli ultimi 5 anni ST ha investito negli impianti italiani quasi 1,2 miliardi di euro, di cui la metà al Sud».
Ma cosa fa ST?
«ST produce componenti elettronici che sono alla base di tutti i settori industriali tra cui Tlc, automotive, informatica, elettronica di consumo e life science. Le competenze dell’azienda in nuovi verticali tecnologici come l’intelligenza artificiale e la connettività veloce sono di frontiera».
E tutto dipende dalla governance, il governo societario?
«La governance di ST è semplice e funziona. I governi italiani e francesi sono azionisti paritetici di una holding che non può essere scissa, in pratica non possono divorziare. Nominano ciascuno un terzo del Consiglio di sorveglianza. La restante componente spetta al mercato che svolge un importante ruolo di equilibrio. ST è quotata dal 1994 in tre Borse, Milano, Parigi e New York e, da allora, ha continuato a crescere in un contesto di stabilità, garanzia degli interessi nazionali italofrancesi, ma con logiche di mercato. Senza dimenticare che nei decenni ST si è anche rivelata un investimento azionario solido che, da anni, paga regolarmente dividendi. Nei giorni scorsi ST ha emesso 1,5 miliardi di dollari di obbligazioni convertibili per finanziarie la crescita a tassi negativi».
Sembra essere un’eccezione piuttosto che la regola…
«Posso portare l’esempio di ST. Cuore e cervello sono radicati nei Paesi di origine, Italia e Francia. In Italia sono impiegate 10 mila persone, in larga parte laureati e quasi tutti in materie scientifiche. Sempre negli ultimi 5 anni, ST ha investito 2,2 miliardi di euro in ricerca e sviluppo nel nostro Paese. ST vanta un patrimonio di oltre 18 mila brevetti, di questi 660 depositati solo nel 2019 e in buona parte provenienti dai centri di ricerca di Agrate, Catania e Marcianise e dagli ecosistemi dell’innovazione creati attorno ad essi. Ricordo che ST è il primo depositante di brevetti in Italia».
Eccezione anche al Sud…
«Al Sud, in particolare in Sicilia, ST sta facendo nascere la “Silicon Carbide Valley” per guidare l’era del post-silicio. Il carburo di silicio è il materiale del futuro per l’elettronica, con l’importante qualità di essere molto più efficiente nelle applicazioni ad alto consumo energetico. A supporto di questo progetto, negli ultimi 3 anni, è stato completato un investimento di upgrade del sito di Catania per oltre 200 milioni. Il più grande investimento privato in Sicilia degli ultimi 20 anni».
Ma il modello St è esportabile anche in altri settori industriali?
«Decisamente sì. ST opera in un settore dove la scala dimensionale e l’eccellenza produttiva sono elementi cruciali per rimanere competitivi. Bisogna avere le spalle finanziarie grandi e un mercato di riferimento ampio per potersi permettere investimenti in R&D e attivi fissi di centinaia di milioni l’anno».
Con operazioni anche transnazionali?
«Certo. Sarebbe un ottimo modo di investire parte del “Recovery Fund”. Il consolidamento europeo tra operatori nazionali che condividono la stessa cultura di impresa e lo stesso mercato di origine è un modello che va replicato in altri comparti, hi-tech e non, dove valgono le stesse regole della microelettronica. Penso, ad esempio, all’aereospazio, ai trasporti aerei o l’alta velocità ferroviaria, così come grandi progetti avveniristici come la batteria elettrica o la fotonica. Grandi player competitivi transnazionali in Europa
hanno molte più chances di dire la loro sui mercati globali».
Addio al piccolo è bello…
«I primi beneficiari di grandi player europei con una partecipazione stabile italiana sarebbero le piccole e medie imprese delle rispettive filiere. Maggiore competitività del capo-filiera significa più certezza nei contratti di fornitura, termini di pagamento più stabili, stimolo alla specializzazione per verticali tecnologici. Queste aziende trarrebbero, inoltre, beneficio dai finanziamenti europei, come succede nella microelettronica».
È innegabile però che la storia conti.
«Certo. La ST che conosciamo oggi nacque oltre 30 anni fa dalla fusione di SGS, un’azienda di semiconduttori italiana, e Thomson Semiconducteurs del gruppo francese Thomson. All’epoca entrambe le aziende fatturavano circa 300 milioni di euro ed entrambe perdevano soldi. SGS, la “costola italiana”, nacque nel 1958 da una joint venture tra Olivetti e Telettra, due pionieri italiani della nascente industria dell’elettronica. Il fondatore di Telettra, Virgilio Floriani, siglò la partnership con Adriano Olivetti con l’obiettivo condiviso di sviluppare in Italia un settore industriale che già intravedevano essere al centro della rivoluzione tecnologica che, dopo decenni, stiamo tuttora vivendo».
Tutto torna a Olivetti?
«Sì ma di Adriano Olivetti si conosce quasi tutto, mentre voglio ricordare la figura di Virgilio Floriani, un precursore talmente appassionato di nuove tecnologie che arrivò a stringere un rapporto di amicizia con David Packard, il co-fondatore di HP, a cui addirittura fece un prestito personale. L’ing. Floriani, da grande patriota economico quale era, per anni rifiutò le lusinghe di grandi investitori e competitor internazionali e solo nel 1976 cedette l’azienda alla Fiat».
Il passo indietro è agli anni del boom economico…
«Negli anni 60 e 70 vengono poste le fondamenta industriali della ST italiana, con la costruzione dello stabilimento di Catania, l’ampliamento di Agrate, la costruzione del centro di ricerca a Castelletto, vicino Milano, e la fusione con Ates basata a L’Aquila nel 1972. Nel frattempo, l’azionista di riferimento era diventato l’Iri».
E poi inizia l’era di Pistorio…
«Esattamente nel 1980. Nel 1987 viene completata la fusione, fortemente voluta da Pistorio, con la francese Thomson-CSF. Pistorio ha guidato in modo esemplare ST per 25 anni, fino al 2005, facendola diventare una vera multinazionale, tra i primi a costruire impianti produttivi a Singapore e Shenzhen, promuovendo ricerca avanzata e guidandola con grande equilibrio, lontano dalle stagioni politiche degli azionisti dei due Paesi».
Siamo quasi all’oggi.
«Nel 2006, Carlo Bozotti raccoglie il testimone di Pistorio fino al 2018, consolidando il ruolo di ST tra i primi dieci produttori dei semiconduttori mondali. Dal 2018, Jean-Marc Chery continua nel solco della tradizione di grandi Ceo che sono cresciuti internamente, garantendo competenza e stabilità manageriale».
ST potrà fare la sua parte ma l’Italia?
«L’Italia ha tutti gli elementi per accelerare un grande progetto di trasformazione tecnologica. Vanno coordinati. Vedo con piacere forti segnali di collaborazione tra università, i grandi istituti pubblici come Iit o Human Technopole, Cdp e il Fondo Nazionale Innovazione, le grandi aziende nazionali. ST appunto farà la sua parte. È un’azienda abituata a pensare con orizzonti decennali».
Un esempio concreto?
Operazioni transnazionali? Un ottimo modo di investire parte del «Recovery Fund». Il consolidamento europeo tra operatori nazionali che condividono la stessa cultura di impresa e lo stesso mercato di origine è un modello che va replicato
«Penso al nuovo, avveniristico impianto di Agrate per i wafer di silicio da 300 millimetri che, in 5 anni, con un investimento di oltre 2 miliardi di dollari, garantirà al nostro Paese l’accesso alla produzione più avanzata dei semiconduttori del futuro. Il governo italiano ha ottimamente guidato la collaborazione pubblicoprivato, con la Commissione europea, la Regione Lombardia e la Provincia di Monza Brianza per attrarre gli investimenti necessari. Infine, l’accordo strategico di ST con il Politecnico di Milano, nell’ambito delle micro e nanotecnologie, con investimenti in ricerca congiunta, nuovi laboratori, finanziamento di dottorati. Senz’altro una delle più grandi partnership tra un’azienda e un’università mai siglate in Europa. Non male per un’azienda su cui alla fine degli anni Settanta e inizi anni Ottanta si lavorava per una soft exit, considerandola sfida italiana alla microelettronica persa per sempre».