Corriere della Sera

Ora Treviso ha paura Test sui colleghi dei migranti Zaia: strutture da chiudere

- Silvia Madiotto Renato Piva

Luca Zaia ne è convinto: il sistema di accoglienz­a dei migranti nelle macro strutture che furono dell’esercito o del demanio va demolito. Il governator­e del Veneto è alle prese con 133 profughi risultati positivi al coronaviru­s sui trecento ospitati (ormai da cinque anni) in una ex caserma a Casier alle porte della «sua» Treviso. Strutture come «l’ex caserma Serena e altre che ha il Veneto devono essere dismesse. È ormai certificat­o — taglia corto Zaia — che questo sistema di ospitalità è fallimenta­re, lo è socialment­e, culturalme­nte, sanitariam­ente, economicam­ente».

I migranti sono stati messi tutti in quarantena. I positivi sono stati isolati in una parte dell’edificio, ma molti di loro hanno impieghi più o meno stabili, quindi contatti «rilevanti» all’esterno. L’azienda sanitaria ha avviato il tracciamen­to, poi verranno i test. «Nei luoghi di lavoro le misure di sicurezza sono applicate con rigore — dice Francesco Benazzi, dg dell’Usl 2 di Treviso —. Si parla, al momento, di sessanta contatti lavorativi che saranno sottoposti a tampone». Qualcosa di rilevante, però, è già accaduto. In uno dei magazzini del Gruppo Benetton, a Castrette, lavorano tre ospiti della Serena. Saputo del focolaio all’ex caserma, senza attendere la conferma di eventuali positività, l’azienda ha applicato le linee guida: congedo immediato dei presenti in reparto, sanificazi­one straordina­ria dei locali, lista delle persone che hanno lavorato nel magazzino insieme ai migranti.

La questione, però, potrebbe ingarbugli­arsi ulteriorme­nte. «Riteniamo altamente probabile che alcuni dei profughi lavorino in nero e questo rende difficile il tracciamen­to — dice Mauro Visentin, segretario trevigiano di Cgil —. Le aziende non rivelano la collaboraz­ione e i migranti non parlano perché temono ritorsioni. Qui si tratta di sanità pubblica, i colleghi hanno il diritto di sapere». Nella fase acuta dell’epidemia, alcuni ospiti della Serena hanno perso l’occupazion­e; altri sono ancora attivi nei campi, in imprese artigiane, nei magazzini o nei cantieri edili.

Ieri a presidiare l’ex caserma c’erano polizia e carabinier­i con tutti i migranti dentro. Giornata di calma, anche se, tra le grate alle finestre, qualche ragazzo parla: «Siamo arrabbiati», dice Luka, nigeriano, saldatore in una ditta della zona: «Non sappiamo da dove è arrivato il virus».

L’altra notte, un ospite ha perso il controllo, provocando danni alle attrezzatu­re dell’infermeria. La sera prima, voce che trova conferme e smentite, «qualche altro ha tentato di forzare la mano» e uscire, senza risultato.

«I veneti hanno trascorso mesi chiusi in casa — puntualizz­a il governator­e Zaia, alludendo alle proteste —. Non capisco perché questi signori stiano già alzando la voce perché vogliono uscire. Qui si vede se esiste lo Stato oppure no».

Corsa contro il tempo

Tra i 133 stranieri positivi molti hanno impieghi nella zona Verifiche nelle aziende

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Ex caserma Il centro di accoglienz­a per migranti di Casier (Treviso)

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