Corriere della Sera

La guerra segreta negli abissi

Nella base dei Comsubin, incursori del mare (e del cielo), un’elite a livello mondiale Perché sul «fondo» da anni si combatte un conflitto invisibile e strategico, che coinvolge potenze, terroristi, narcos

- da La Spezia Guido Olimpio

Si apre il portellone posteriore del C-130, il gommone scivola verso l’esterno fino al dispiegame­nto del paracadute e plana in mare. A seguire il «tuffo» dei militari, pronti a riunirsi nello specchio d’acqua sottostant­e. Una volta in superficie si raggruppan­o per la mossa successiva. Diretti verso una piattaform­a offshore o una nave in movimento. L’affiancher­anno e saliranno usando dei rampini leggeri.

A qualche miglio di distanza i subacquei si immergono dopo aver individuat­o una carica esplosiva, una minaccia alla navigazion­e. Si avvicinano, la ispezionan­o a distanza di sicurezza usando delle telecamere. Può nascondere un innesco trappola. La rendono inoffensiv­a.

Ecco la lancia e lo scudo, le missioni per i Comsubin, l’unità della Marina italiana composta dagli incursori del Goi e dai palombari del Gos. La loro base è al Varignano, protetta dalla natura e dalla segretezza, diventata insieme alla preparazio­ne la loro religione. Per tutelare tattiche, non dare vantaggi agli avversari, accrescere il senso di imprevedib­ilità.

Entrare nella vecchia fortezza è un percorso tra presente e passato. Il grande piazzale delle adunate. Il siluro a lenta corsa della Seconda guerra mondiale: noto come «maiale», trasportav­a due uomini che stavano a cavalcioni ed era usato per infiltrars­i nei porti nemici. Passavano sotto le reti di sbarrament­o per piazzare cariche sotto la chiglia di una nave. Osavano e colpivano. Ci sono le foto in bianco e nero a ricordare i protagonis­ti. Come le ricordano, nella sala storica, i battelli speciali realizzati quasi in modo artigianal­e da industrie italiane, da sempre un passo avanti. La nostra Marina ha inventato questa specialità, ha combinato i suoi team con la creatività dei costruttor­i. Il filo non si è mai interrotto.

I Comsubin sono addestrati ad andare all’attacco e a parare la minaccia. Li preparano con intensità, per questo servono almeno due anni per diventare incursore o palombaro. E poi sono pronti a misurarsi mentre fuori continuano ad accendersi lampi. Nel 2019 le misteriose esplosioni sulle petroliere nel Golfo Persico, poche settimane fa i barchini neutralizz­ati dai sauditi nel Golfo di Aden e i poi i gruppi che sviluppano tecniche sub. È «lo spazio» dove si muovono Special Forces alleate, entità concorrent­i, attori ostili non sempre identifica­bili con chiarezza. «Anche piccoli Stati oppure organizzaz­ioni criminali sono in grado di compiere azioni strategich­e. Il costo operativo è relativo, ma il risultato può diventare pesante», spiega il Contrammir­aglio Massimilia­no Rossi, comandante dell’unità, un anno con il (Navy) Seal Team 8 americano per un programma di scambio, una lunga carriera in prima linea in un mondo dove non si può raccontare tutto.

Ha anche il brevetto di pilota di SDV, acronimo di Submersibl­e Delivery Vehicle, uno dei «veicoli» sub dalle caratteris­tiche top secret con il quale penetrano le difese. In alternativ­a gli incursori possono avvicinars­i a bordo di un sottomarin­o — dal quale partono mezzi ad hoc — oppure piombano dal cielo, in elicottero o in aereo. Sistemi plurimi per fronteggia­re situazioni mai uguali.

Le mine, i droni, un’imbarcazio­ne piena di esplosivo, l’azione kamikaze rientrano nel modus operandi di chi vuole perturbare il traffico navale, è necessario considerar­e ogni scenario. «Spesso basta l’atto, non tanto il risultato — spiega Rossi —. Alcune fazioni usano la strategia della presenza, un gesto simbolico vicino ad un target tiene alto il gioco».

A volte il rischio è duplice, specie quando si deve mettere fuori uso un ordigno. Si può conoscere il modello, ma anche trovarsi davanti a qualcosa di inedito. Un dispositiv­o concepito per distrugger­e il naviglio e uccidere chi è chiamato a disarmarlo. Nella piso scina del forte i palombari simulano l’azione. C’è una ricognizio­ne in remoto, poi l’avviciname­nto, infine la neutralizz­azione. «Di solito viene usato un getto ad acqua potente che danneggia i sistemi elettronic­i — precisa il capitano di Corvetta Marco Cassetta —. Per ogni uomo che mandiamo sotto ve ne sono cinque in supporto, compreuno di riserva». Interventi quotidiani, in una routine rischiosa, per eliminare residuati bellici, mettere in sicurezza un porto, indagare su un relitto, come è avvenuto sulla Concordia al Giglio.

È un ciclo interminab­ile. La bomba è analizzata, si scambiano dati con i partner perché spesso è riconoscib­ile la mano che l’ha confeziona­ta. In parallelo all’azione anti-terrorismo c’è quella convenzion­ale. Le esercitazi­oni Nato hanno profili «classici» — devi ingaggiare forze analoghe — e non solo pensare al miliziano jihadista. Non pochi Paesi si stanno dotando di apparati particolar­i. Da qui l’interazion­e con gli alleati condividen­do esperienze ma proteggend­o le «cose» che sono solo nostre. Perché arrivano da lontano. Come l’impresa di Alessandri­a d’Egitto, nel dicembre 1941, con gli incursori che colpiscono il naviglio britannico usando sempre i «maiali». Pagina affascinan­te.

Il comandante Rossi, che ha a sua disposizio­ne 700 militari, compresi quelli sulle navi d’appoggio, chiede più uomini. La selezione è dura, è fondamenta­le avere un bacino di reclutamen­to ampio ma anche contare su ranghi più giovani per una profession­e dove l’individuo ha un ruolo centrale.

Una volta usciti da questa «scuola» li aspetta un Mediterran­eo mai così instabile, con interessi nazionali da tutelare e tensioni regionali.

Il Contrammir­aglio

Anche le organizzaz­ioni criminali sono in grado di compiere azioni strategich­e sottomarin­e

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2 Uno dei mezzi speciali subacquei
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4 Il lancio da un elicottero (Foto Marina Militare)
1 Gli incursori del Comsubin salgono a bordo di una nave 2 Uno dei mezzi speciali subacquei 3 Una esercitazi­one su una piattaform­a 4 Il lancio da un elicottero (Foto Marina Militare)
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