La sentenza prima che parli l’avvocato «Non è reato»
Che reato commette un giudice che inizia l'ultima udienza di un processo leggendo la condanna a 11 anni (di un padre per violenza sessuale sulla figlia) prima ancora di aver ascoltato l’arringa dell’avvocato? E che poi, accortosi del pauroso errore di fronte a tutte le parti basìte in aula, stracci il dispositivo della sentenza e inviti l’avvocato allora a parlare come niente fosse? Nessun reato, risponde la Procura di Milano, che per questo «abnorme frutto di un macroscopico errore» (destinato a essere sanzionato in sede disciplinare) ha chiesto e ottenuto l’archiviazione del giudice Roberto Amerio, presidente del collegio protagonista il 18 dicembre 2019 di questa scena al Tribunale di Asti. Il falso per soppressione dell’atto è infatti irrilevante perché il dispositivo della sentenza, essendo stato letto in pubblica udienza, ha comunque «così formalmente assunto giuridica esistenza». Al punto che, per neutralizzarla, l’unico modo prospettabile è l’ordinaria trafila di impugnazione in Appello, annullamento, ritorno in Tribunale, e celebrazione di un processo-bis di primo grado. Inoltre la gip Manuela Cannavale, in linea con la pm Cristiana Roveda e il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, rileva che il giudice, ripresosi dal panico, aveva subito ristampato e trasmesso al proprio dirigente il dispositivo, «così manifestando di non avere affatto la volontà di sopprimerlo. Il giudice e i suoi colleghi a latere hanno commesso un macroscopico e abnorme errore giuridico, ma non il reato» di falso.