«Arianna a Nasso» l’opera (del 1912) che Richard Strauss aveva già scritto in forma «distanziata»
La nuova produzione di Arianna a Nasso in scena nel cortile del Palazzo Ducale di Martina Franca per il Festival della Valle d’Itria vanta tre frecce al suo arco. La prima è che l’opera non è adattata alle norme sul distanziamento, fu Richard Strauss negli anni Dieci a scriverla già «distanziata» per un’orchestra di 35 elementi a parti reali (ciascuno fa per sé non condividendo il proprio leggio) e senza coro. Avere rinunciato ad altri progetti che si sarebbero rivelati problematici per dar vita ad Arianna (sia pure nella versione del 1912, priva di Prologo) è dunque il vero fiore all’occhiello del festival, a maggior ragione per il fatto che il direttore musicale Fabio Luisi (seconda freccia) è uno specialista in questo repertorio e ne conosce ogni piega. Certo, all’aperto il suono non ha lo stesso corpo, la stessa grana e profondità che se i musicisti fossero in teatro. È più leggero, impalpabile, «italiano». Ma il risultato è comunque godibile, nel suo camminare in bilico tra l’essere «vero» e l’essere «in stile», neoclassico e moderno al contempo. Terza freccia è poi un cast che vanta in Jessica Pratt il soprano che domina le impervie colorature della folle parte di Zerbinetta, in Piero Pretti un ottimo Bacco (paradossalmente «apollineo») e soprattutto in Carmela Remigio una splendida protagonista, profonda nella interpretazione quanto esatta nello stile. Lodevole inoltre la capacità del cast di adattarsi alla faticosa versione italiana del libretto, approntata per l’occasione da Quirino Principe. Vero che a Martina Franca le opere si presentano sempre in forma rara o inedita, ma di questa traduzione non se ne sentiva la necessità. Un po’ ingrugnita è apparsa poi la messinscena di Walter Pagliaro, cui si riconoscono però le attenuanti, da un lato del poco tempo a disposizione per chiudere il cerchio di una rilettura che privilegia l’intellettualismo a un mero naturalismo di maniera; dall’altro, del dover affrontare il labirintico rebus di un atto unico che, privo di Prologo, manca dei suoi presupposti filosofici e teatrali.