MODELLO GENOVA PER RICOMINCIARE
L’orgoglio è un lusso da prendere sempre a piccole dosi. Ma l’inaugurazione del nuovo ponte di Genova, che arriva domani dopo una lunga serie di celebrazioni preventive, è uno di quegli avvenimenti dei quali è giusto essere fieri in modo pieno e incondizionato, come è giusto che sia per un lavoro fatto presto e bene. Al tempo stesso, la nascita ufficiale del viadotto che torna a unire Genova, non può e non deve essere una festa.
Quei 1.037 metri di acciaio e cemento costruiti in un solo anno sono una bella risposta alla tragedia del ponte Morandi, che causò la morte di 43 esseri umani e non fu certo una disgrazia. Fu un disastro annunciato, che dimostrò quanto possano essere nefaste le conseguenze dell’incuria, della sciatteria, della nostra incapacità di prendersi cura delle infrastrutture, e della nostra eterna propensione a tergiversare, affidandoci in ultima istanza alla buona sorte. Anche per questo all’estero fu scritto e detto che le macerie del vecchio ponte rappresentavano una immagine dei vizi italiani, come avvenne anni prima per la foto della Costa Concordia riversata sugli scogli dell’Isola del Giglio.
L’utilizzo di certe situazioni come una metafora, una parte per il tutto, è una tentazione facile, ma quasi mai veritiera. La realtà è sempre più complessa. Ma da oggi, se vogliamo stare al gioco, abbiamo anche noi una cartolina da spedire a chi dubita delle potenzialità di questo Paese. Abbiamo un’opera nuova e bella, progettata da Renzo Piano, uno dei non molti uomini che il mondo ci invidia, costruita in tempi cinesi con uno sforzo collettivo, con una dedizione assoluta da parte di chiunque vi abbia partecipato. Anche
per rispetto del lavoro di queste persone, bisogna avere l’onestà di riconoscere che questo miracolo è avvenuto in circostanze eccezionali. L’onda emotiva sollevata dalla sciagura del 14 agosto 2018 ha generato uno strumento legislativo fatto apposta per Genova, per semplificare e velocizzare il percorso della nuova opera, che ha eliminato il ruolo di controllo della Pubblica amministrazione, lasciando mani libere al Commissario straordinario della ricostruzione nominato dal governo. Marco Bucci ha potuto così affidare la realizzazione dell’opera senza gara, e assegnare la progettazione per scelta nominale, senza procedura di evidenza pubblica, tanto per fare qualche esempio. Sono doni, è bene ribadirlo, dei quali è stato fatto un ottimo
uso.
In una democrazia delicata come la nostra, certe pratiche non sono però applicabili su larga scala. Chi si riempie la bocca del modello-Genova, auspicando una sua applicazione a livello nazionale, finge di non sapere in quale Paese vive e di ignorare quali sono le insidie e le pressioni che si muovono intorno a qualunque appalto, immaginando per pura speculazione politica che l’Italia sia una sorta di Arcadia dove regnano perfetta armonia e onestà. Al tempo stesso, non è accettabile la posizione di chi invece si limita a sostenere che il sistema-Genova non è replicabile. Se le infrastrutture rappresentano davvero il volano della nostra ripresa, i tempi lunghi dei nostri cantieri sono una palla al piede. La nascita del nuovo ponte, facilitata da procedure spedite e da una semplificazione estrema, è l’ennesima conferma del fatto che abbiamo un enorme problema di burocrazia. Senza di quello, ci sarebbero tanti altri piccoli miracoli da celebrare, forse addirittura una rinascita collettiva. Per questo è altrettanto inaccettabile scuotere la testa, escludere la riproducibilità di una legge senz’altro unica nel suo genere, fare una bella inaugurazione e andare avanti come se niente fosse. Il modello-Genova non è replicabile così com’è. Ma sarebbe il caso di imparare qualche lezione da questa impresa che ci apprestiamo a celebrare. E magari applicarne in fretta gli insegnamenti. Si può fare, presto e bene. Ce lo dimostra proprio il nuovo ponte.