Sta morendo E la filmano
Lucia Fumaroni: vidi morire due bimbi, da allora non ho più preso un treno. Oggi l’anniversario
I l vocabolo «oscenità» un tempo indicava comportamenti sessuali: atti osceni, una scritta oscena, una proposta oscena. Tutt’al più, scivolava nella volgarità aggravata: un gesto osceno era un gesto molto offensivo.
Un salto indietro di quarant’anni, il ritorno nella città che ha cambiato la traiettoria della sua vita, in quell’orrore che non l’hai mai abbandonata. Per la prima volta dalla strage alla stazione, Lucia Fumaroni, oggi 63 anni, è tornata a Bologna nel giorno della visita del presidente Sergio Mattarella. Giovedì era alla messa celebrata per ricordare le vittime: «Ma in stazione no, non me la sono sentita. Dopo la strage non ho mai partecipato alle commemorazioni, non ho più preso un treno o messo piede in una stazione».
Il 2 agosto del 1980 Lucia era una ragazza di 23 anni della provincia di Vicenza con il cuore gonfio di emozioni. Partiva per la sua prima vacanza con le amiche, nella sala d’aspetto di prima classe aspettava il treno per la Puglia e contava le ore che la separavano dalla sua destinazione.
«Ero seduta con le spalle poggiate al muro che divideva la sala d’aspetto di prima e di seconda, davanti a me c’erano due bambini tedeschi con una cascata di capelli biondissimi, 8 e 14 anni, che bevevano una Coca-cola accanto alla mamma, il papà era appena uscito con il figlio maggiore per sistemare i bagagli, tornavano a casa dopo una vacanza al mare, due metri più in là una ragazza cercava rifugio dall’afa sventolandosi con dei fogli». Pochi secondi e un boato assordante cancella ogni cosa fissando per sempre quella immagine nella sua mente: «Sono tutti morti, tutti. Ricordo i loro volti un attimo prima, quei sorrisi spensierati. Poi il buio, le macerie e infine le grida. Mi sono ritrovata sepolta, non sentivo più le gambe». Una trave l’ha travolta ma per un imponderabile rimbalzo del destino ha prima colpito un blocco di cemento creando una fessura. «Sono sopravvissuta perché sono rimasta cosciente». Due ore dopo l’esplosione, Lucia è all’ospedale Rizzoli. Ha una frattura alla dodicesima vertebra, i medici dubitano che potrà tornare a camminare: «Venne a trovarmi il signore tedesco che aveva perso moglie e figli, nello stesso ospedale era ricoverato l’unico figlio sopravvissuto. Continuava a fare segno con le mani, come a dire “siamo partiti in cinque e ora siamo due. Mi chiedeva di parlargli dei suoi cari, diceva che ero stata l’ultima a vederli vivi». Ci sono voluti due anni per rimettersi in piedi, oggi Lucia ha 63 anni e un’invalidità all’80%, ma le ferite sono altre: «Quelle immagini sono fissate nella mia mente e mi tormentano. Per questo non ero mai più tornata a Bologna, ma quest’anno una voce dentro di me diceva che avrei dovuto chiudere il cerchio. È stata un’emozione fortissima, Ero sopraffatta».