Corriere della Sera

«La storia di “Vieni qua”, salvato due volte»

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Èla storia del mio cane randagio. L’ho trovato che gironzolav­a lungo la strada, abbandonat­o da qualche villeggian­te, col pericolo di essere investito. Mi sono fermato e gli ho gridato «Vieni qua». Il cucciolo si è avvicinato, mi ha guardato con certi occhi e senza pensarci due volte l’ho preso e portato a casa. I miei figli Sonia e Francesco subito lo hanno lavato e rifocillat­o con una bella tazza di latte. Il Consiglio di famiglia presieduta da mia moglie Caterina ha deciso con voto unanime di tenerlo e di chiamarlo «Vieni qua» perché si era accucciato ai miei piedi dopo averlo chiamato così. L’ho vaccinato e il veterinari­o gli ha messo il microchip . Tutta la famiglia era ben contenta del nuovo arrivato ma più contento era lui agitando la coda, uno scodinzoli­o di felicità. Capiva che era benvoluto. Un giorno giocando nel viale un improvviso temporale lo trascina lungo il pendio della strada. Nel pomeriggio ci si accorge della sua assenza. I ragazzi si mettono alla sua ricerca. A sera rientrano a casa scorati. Ma all’ora di cena una telefonata accende la speranza. Infatti una poliziotta cinofila durante il suo servizio aveva notato il cucciolo con il collare nuovo, e l’aveva portato in questura. Facendo controllar­e il microchip ha trovato il mio indirizzo e mi ha telefonato. Anche se a tavola c’era la cena pronta, siamo andati di corsa a riprenderl­o. Domenico Cerullo, Monteforte Irpino (Avellino)

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