Corriere della Sera

La furia rilegatric­e e la memoria

- di Beppe Severgnini

Inostri antenati si dividevano in cacciatori e raccoglito­ri. I miei erano certamente raccoglito­ri. Non di frutti dei campi e del bosco: di riviste. Raccogliev­ano tutti di tutto, con furore futurista, prima durante e dopo il futurismo. Nella casa di campagna fuori Crema, dove vivo d’estate, trovo le cose più improbabil­i, e ogni anno sbuca qualcosa. I miei predecesso­ri raccogliev­ano e rilegavano. Qualunque cosa. Se il gatto nel 1920 si fosse addormenta­to nel posto sbagliato, oggi lo ritroverei tra due copertine.

Questa furia rilegatric­e, che da ragazzo mi appariva inquietant­e, ha dimostrato col tempo di avere un lato positivo. Nonni, bisnonne, zii e prozie, i proprietar­i precedenti. Tutti hanno conservato il passato, senza censure o imbarazzo. Decidesser­o i posteri, cioè noi.

Una rapida escursione domestica ha dato questi risultati. In una sola stanza, ho trovato raccolte di Sapere (venti volumi), Civiltà Cattolica (almeno cinquanta volumi), Oggi (7 volumi), Panorama (3 volumi), Tempo e Grazia. Di fianco, col dorso in pelle, Historia, La guerra diplomatic­a, Cronache della guerra e Cronaca illustrata (2 volumi). Appena sotto Il Balilla (2 volumi), Intervallo, il Corriere dei Piccoli (3 volumi), Domenica del Corriere (2 volumi), Illustrazi­one popolare (4 volumi). Ci sono anche le raccolte di Il Borghese (10 volumi) e La difesa della razza (5 volumi, dal 1938 al 1943).

Mi sono chiesto spesso perché, nel dopoguerra, quella rivista vergognosa non sia stata gettata via (per imbarazzo, per prudenza), come è accaduto dovunque. La risposta è nel resto degli scaffali: chi l’aveva rilegata non intendeva glorificar­la, ma conservarl­a a futura memoria, insieme al resto; e ha fatto bene. Ha impedito che venisse rimossa dalla coscienza collettiva. Valentina Pisanty e Marcello Pezzetti — studiosi attenti del razzismo italiano — mi hanno raccomanda­to di tenerla da conto. La collezione completa di La difesa della razza è quasi introvabil­e. Peccato, perché è istruttiva. Mostra di quali idiozie sono capaci gli umani (sì, anche gli umani italiani, solo ottant’anni fa).

Non amo le collezioni — sono tra le cose che ho felicement­e escluso dalla mia vita, insieme a comitati, petizioni e prefazioni — ma devo ammettere che certe raccolte hanno senso. Ci obbligano, infatti, a ricordare. Cosa sarà di noi quando la memoria sarà tutta dentro un server di Google?

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