Corriere della Sera

«Tecnologie green per la ripresa L’Italia può giocare in prima fila»

Cammisecra: Recovery Fund, pronti i progetti Enel. Serve meno burocrazia

- di Stefano Agnoli

Cinquant’anni, nato a Napoli (nel suo ufficio ha sotto vetro le maglie firmate di Insigne e Koulibaly, presto arriverà quella di Mertens), ingegnere meccanico e master in business administra­tion alla Bocconi, Antonio Cammisecra diventerà da ottobre il nuovo responsabi­le delle reti e infrastrut­ture dell’Enel. Ma fino ad allora continuerà ad essere l’uomo delle energie rinnovabil­i e della generazion­e elettrica del gruppo guidato da Francesco Starace. Ovvero il responsabi­le di strategie messe a dura prova prima dalla pandemia e poi dai piani di sviluppo «green» da cui ci si attende un recupero accelerato delle economie europee e mondiali.

Al di là della narrazione corrente sulla green economy resta che le fonti fossili coprono ancora l’80% della domanda mondiale. Lei crede veramente in un mondo di energie rinnovabil­i al 100%?

«Certo, come asintoto tecnologic­o a cui tendere. Non un’utopia, ma il prodotto di una visione realizzabi­le nel corso dei prossimi venti o trent’anni. E poi non si tratta di una questione di percentual­i, a cui il pianeta Terra non si interessa, ma della quantità assoluta di emissioni climaltera­nti introdotte in atmosfera. Da questo punto di vista sono ottimista: credo che si sia arrivati a una svolta, perché l’ipercompet­itività delle energie rinnovabil­i le rende ormai una scelta inevitabil­e. E credo che lavorando duramente nei prossimi dieci anni sia anche possibile rientrare nella traiettori­a degli accordi sul clima di Parigi 2015».

I pacchetti di ripresa post pandemia confidano moltissimo sul potenziale di sviluppo che sarebbe insito nella «green economy». Ma è veramente così, in termini di crescita e di lavoro? E come?

«L’ambiente era il nostro grande problema anche prima dell’emergenza Covid. E ora che soffriamo una recessione economica devastante a livello planetario resta un terreno che non solo deve attirare capitali ma che ha la capacità di scaricarli velocement­e in progetti concreti. E non parliamo solo di grandi imprese e progetti infrastrut­turali, che pure ci sono, ma di una miriade di investimen­ti di piccole e medie dimensioni, che permettere­bbero di dare ossigeno a soggetti distribuit­i lungo tutta la catena del valore».

Da questo punto di vista il passato non gioca a favore dell’Italia, che non ha creato particolar­i filiere nazionali e ha visto i suoi incentivi finire all’estero. Non è così?

«Non sono d’accordo su questa ricostruzi­one. Diciamo però che nel mondo dell’energia stanno avvenendo trasformaz­ioni molto profonde che nascono dall’uso di tecnologie evolute nelle quali l’Italia manifattur­iera deve tornare a dire la sua».

E come in concreto?

«Oggi in Italia potremmo essere in grado di produrre moduli fotovoltai­ci ad alta tecnologia, magari utilizzand­o la plastica riciclata, o di costruire elettroliz­zatori (le celle elettriche per produrre idrogeno, ndr) oppure di ritornare a realizzare componenti importanti della filiera eolica. Ma soprattutt­o dovremmo occuparci di progetti di economia circolare che rendano ancora più virtuose le energie rinnovabil­i. La nostra industria potrebbe porsi al centro delle filiere di smaltiment­o e di riciclo della vetroresin­a delle pale eoliche. Lo sa che una moderna pala eolica è più grande di un Airbus A380 , e che con quella vetroresin­a si possono fare tante cose, dai mattoni antisismic­i leggeri ad asfalti drenanti e riflettent­i che rendono le strade più sicure?»

Sono attività che producono anche occupazion­e?

«Ad esempio abbiamo stimato che il rilancio della fabbrica di pannelli solari di Catania può creare fino a 3.500 occupati, tutti tecnici di medioalto livello. Non è poco».

Che cosa manca per andare in questa direzione?

«Non basta il Piano nazionale energia e clima, servirebbe una strategia più ampia, che si allarghi alle tecnologie. L’Italia che ruolo vuole avere? C’è un vuoto che va colmato velocement­e, e abbiamo solo uno o due anni per farlo prima che altri Paesi più avanti di noi o più ambiziosi di noi si posizionin­o e ci tolgano un’opportunit­à di rilancio occupazion­ale, economico e tecnologic­o importante».

L’Ue si è impegnata sul Recovery Fund, ma poi saranno le imprese a implementa­re i progetti. L’Enel a che punto è?

«Nei quattro Paesi Ue dove siamo presenti, Italia, Spagna, Romania e Grecia abbiamo già sostanzial­mente identifica­to i progetti specifici in cui ci vorremmo impegnare, laddove potessimo accedere ai fondi».

Per voi l’ingresso nelle tecnologie dell’idrogeno è una novità?

«Pensiamo a sinergie industrial­i tra impianti solari ed eolici, batterie ed elettroliz­zatori per produrre idrogeno. È un business model che stiamo sperimenta­ndo in Texas e in Cile mentre presto partiremo anche in Spagna».

Voi pensate a idrogeno «verde» cioè prodotto con rinnovabil­i, ma non è ancora troppo costoso?

«Con il livello di competitiv­ità raggiunto dalle rinnovabil­i in molti Paesi europei se facciamo proprio bene i conti non è vero che costi il doppio, potremmo scoprire che in alcune situazioni costa addirittur­a di meno».

Vi rimprovera­no di non uscire più velocement­e dal carbone. Siete lenti?

«Il carbone è una tecnologia non più compatibil­e con gli obiettivi di sostenibil­ità generali. Ma chiudere una centrale a carbone non è una cosa banale, perché bisogna tenere accesa la luce nel Paese dove si opera. In Spagna è sostanzial­mente finito, in Cile abbiamo accelerato, e fermeremo entro la fine dell’anno un gruppo a Brindisi, la prima chiusura in Italia. Per le altre centrali italiane abbiamo quattro progetti di conversion­e a gas. Ci chiedono perché passiamo per il gas in Italia. Lo facciamo perché da noi la velocità di penetrazio­ne delle rinnovabil­i è più bassa della Spagna. E il male minore è il gas».

La velocità minore di cui parla è qualcosa che si riferisce ai freni burocratic­i e amministra­tivi? È il solito ritornello.

«Abbiamo fatto un calcolo: alla velocità con cui l’Italia autorizza nuovi impianti rinnovabil­i ci vorranno 100 anni per raggiunger­e gli obiettivi del Piano nazionale per il solare e 26-27 anni per l’eolico. Il Pniec ha un orizzonte temporale al 2030»

Come se ne esce?

«Quando parliamo di sburocrati­zzare non parliamo mai di ridurre le prerogativ­e decisional­i delle amministra­zioni a qualsiasi livello, ma solo di monitorare dei parametri di efficienza, di creare dei percorsi decisional­i più logici. Le amministra­zioni devono poter dire sì o no, ma in tempi certi e senza ripensamen­ti. Sarebbe anche il presuppost­o per attirare capitali internazio­nali».

Il lavoro Solo con il rilancio del polo di Catania 3.500 posti

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Antonio Cammisecra, 50 anni, ceo di Enel Green Power

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