Le ribellioni di Laura
Morante protagonista al Teatro Greco di Siracusa «Sono un’anarchica, amo interpretare donne forti Ho vinto la timidezza anche con l’aiuto dell’analista»
«Sei una principiante! Talentuosa, ma una principiante», le ripeteva Carmelo Bene e Laura Morante se lo ricorda ancora ridendo. «Lui si divertiva a provocare, a torturare - racconta l’attrice - come fanno i bambini che torturano le lucertole. Ma io non gli ho mai dato soddisfazione, anche se la mia indifferenza alle sue vessazioni non lo convinceva e, quando era in buone, mi chiamava “pacioccona”. In fondo aveva ragione: io facevo finta, ma non ero per niente indifferente, mi ha reso la vita difficile. Ero giovanissima, per seguirlo ho buttato all’aria una carriera da danzatrice. Però è stata la scelta giusta».
L’8 agosto Laura sarà protagonista al Teatro Greco di Siracusa, recitando quattro racconti tratti dal libro Fuochi di Marguerite Yourcenar: Fedra, Antigone, Clitennestra, Lena. Musiche dal vivo di Rodrigo D’Erasmo e Roberto Angelini, per la regia di Fabrizio Arcuri.
«È la prima volta che metto piede, da attrice, in quello splendido sito, che non è solo un teatro, ma un luogo magico dove la parola ha una forza espressiva eccezionale. Ricordo quando andai al Teatro Greco per assistere all’Antigone con la regia di Irene Papas. L’emozione era talmente invasiva, che iniziai a piangere sin dalla prima battuta e continuai a piangere fino al termine dello spettacolo. Volevo salutare gli attori in camerino, ma non riuscivo nemmeno a parlare!».
A un’attrice che ha frequentato più il cinema, del teatro, che effetto fa confrontarsi con la tragedia greca?
«Al cinema devo molto, ma mi è mancata la dimensione di sacralità della parola pura, la sua potenza evocativa e l’immediatezza del rapporto col pubblico. Il cinema è un mezzo autoritario, invadente. Il teatro libera la mente e per me, che sono un po’ anarchica, è una benedizione».
Tra le quattro figure femminili cui dà corpo e voce, con chi ha affinità elettive?
«Certamente con Antigone, rappresenta la ribellione della pietas al potere dello Stato: la sua disobbedienza, per seppellire il fratello Polinice, simboleggia la priorità del sentimento etico, rispetto all’applicazione della legge».
Lei è stata spesso disubbidiente?
«Come no? A cominciare proprio da Carmelo. Promossi contro di lui una vertenza sindacale. Eravamo in tournée e a noi, poveri giovani teatranti, ci sospese la diaria dicendo: “È un onore lavorare con me”, sì, però dovevamo pur campare! A causa della nostra vertenza, gli venne sospeso per un anno il finanziamento pubblico. Per noi una vittoria».
Che coraggio, eppure lei si è sempre definita una timida.
«E lo sono, ma questo mestiere mi ha aiutato a superare la timidezza anche se continuo a entrare e uscire dalla psicoanalisi. Il primo analista dove andai, mentre parlavo si addormentava».
Quando recitò nuda nel «Sade» di Bene, i suoi genitori come reagirono?
«Mia madre non venne a vedermi. Mio padre era fiero perché ammirava Carmelo: avrei potuto anche recitare a testa in giù, sarebbe stato felice lo stesso. Non mi sono mai vergognata, pure se la nudità è in contraddizione con la timidezza, perché venivo dal mondo della danza, dove la nudità non crea alcun imbarazzo: i ballerini sono come atleti, il corpo è solo uno strumento, non riscuote apprezzamenti che ammiccano ad altro».
Già madre di due figlie, è stata coraggiosa la scelta di adottare un terzo figlio?
«No coraggiosa, gratificante. È stata lunghissima la trafila, ma ce l’abbiamo fatta. Il mio Stephan è arrivato da noi che faceva l’asilo e, all’inizio, non voleva lasciarsi toccare, poi è stato meraviglioso abbracciarlo. Ormai ha 14 anni, e come tutti gli adolescenti un contestatore! La cosa più incredibile, è che assomiglia tanto alla mia primogenita Eugenia, che strano».
Ma se non avesse fatto l’attrice, quale mestiere avrebbe fatto?
«Mi piace scrivere e rimpiango di non aver osato. Sbagliamo a non osare e mi pento di non averlo fatto quando, da ragazza, volevo fare il liceo classico, ma dovevo prima sostenere l’esame di latino e un giorno mia madre mi sottopose a un test, chiedendomi di declinare un verbo. Ero emozionata, mi impappinai e lei si meravigliò esclamando: “Ma come, non sai declinarlo?”. Provai una profonda frustrazione e non andai più a sostenere la prova. Niente liceo classico, dirottai sulla scuola magistrale. Non mi perdono di non aver osato».
La protesta Carmelo Bene era severissimo, un torturatore. Contro di lui una vertenza sindacale