Corriere della Sera

LE RIFORME SENZA COSTI

Politica e istituzion­i Il problema della modernizza­zione dello Stato è affrontato dal «programma nazionale» presentato l’8 luglio: bei propositi seguiti da ben poco

- di Sabino Cassese

Per aprire una gelateria, sono necessari fino a 73 adempiment­i, con 26 enti diversi, e un costo di 13 mila euro, secondo una accurata ricerca svolta dalla Confederaz­ione nazionale dell’artigianat­o e della piccola e media impresa.

I sei miliardi del contratto di programma con l’Anas dovevano esser erogati entro 90 giorni. Ne sono passati più di 900.

Etutto ciò senza che la procedura abbia superato gli scogli del Cipe, dei diversi ministeri, della Corte dei conti, dei pareri parlamenta­ri.

L’elenco degli interventi necessari ed urgenti è noto: accelerare i pagamenti dell’amministra­zione, ridurre il numero delle stazioni appaltanti, abbreviare i tempi delle valutazion­i ambientali, non scaricare sui cittadini l’onere di raccoglier­e da un’amministra­zione certificat­i da esibire a un’altra amministra­zione, modificare le norme sul subappalto, e così via.

Sono riforme che presentano due paradossi. Non hanno costi, ma ciononosta­nte non si fanno. Alleviereb­bero le tensioni prodotte dalle mancate riforme costituzio­nali, a cui ci si è dedicati per quaranta anni senza successo: in assenza della modernizza­zione dei «rami alti», modernizza­re almeno i «rami bassi» (un inglese ha scritto una volta che un Paese ben amministra­to è ben «costituito»). Queste riforme non richiedere­bbero referendum, sono reclamate a gran voce tutti i giorni, ma senza successo.

Il problema della modernizza­zione dello Stato è affrontato dal «programma nazionale di riforma», presentato in Parlamento dal presidente del Consiglio dei ministri e dal ministro dell’Economia e delle Finanze l’8 luglio scorso. Vi si può leggere che «modernizza­re il Paese significa innanzitut­to disporre di una pubblica amministra­zione efficiente, digitalizz­ata, sburocrati­zzata, veramente al servizio dei cittadini». Bei propositi, seguiti purtroppo da ben poco: semplifica­zione, sblocco delle opere pubbliche, digitalizz­azione, nuove assunzioni, regolament­o per gli appalti. Anche su questi pochi obiettivi, non una parola su tempi, strumenti, responsabi­li. Nulla su come dare nuovo impulso alla macchina dello Stato, come scegliere i migliori per la funzione pubblica, come motivare il personale, come riorganizz­are i metodi di lavoro, come ridare dignità alla dirigenza.

Come si spiega questa contraddiz­ione per cui tutti invocano una migliore macchina statale, ma nessuno vi pone mano, anche se non vi sono costi?

Il primo motivo riguarda il governo: le riforme necessarie non costano, ma non rendono alla politica. Richiedono tempo per essere attuate e producono risultati sul medio-lungo periodo, un arco temporale che va al di là degli obiettivi di qualunque politico di oggi. Paradossal­mente, chi vi ci si dedicasse, lavorerebb­e per i propri successori (e semmai competitor­i).

Il secondo coinvolge il Parlamento, un organo che pensa di risolvere problemi complicati con la bacchetta magica della legge, mentre un migliore rendimento dello Stato è semmai legato a un minore numero di leggi, e a leggi di principio piuttosto che di dettaglio.

Il terzo riguarda il deficit di competenza, legato a un carente addestrame­nto della classe politica, ma anche a disattenzi­one dei grandi centri di rilevazion­e dei dati. Ad esempio, perché la Ragioneria generale dello Stato, che meritoriam­ente raccoglie da un secolo le statistich­e sul pubblico impiego, non ci dice quanti sono coloro che sono entrati per concorso e quanti per altri «meriti», qual è la qualificaz­ione dei dipendenti pubblici, quanti sono i dipendenti degli organismi satelliti di Stato, Regioni e Comuni? Perché l’Istat, che pure aveva avviato la redazione di un annuario statistico della pubblica amministra­zione, non ha continuato a impegnarsi nel settore?

La disattenzi­one per il buon funzioname­nto dello Stato dipende però anche dall’opinione pubblica, distratta dal «balletto della politica» e poco informata dai «media» su ciò che accade e su ciò che non accade nelle stanze del potere burocratic­o.

Buoni ultimi, sono causa della disattenzi­one per le riforme che non costano anche coloro che ne beneficere­bbero, i burocrati, ogni giorno accusati di impedire la modernizza­zione del Paese, ma adagiati nel «tran tran» quotidiano, e quasi afoni, mentre dovrebbero far sentire la loro voce competente sulle grandi questioni quotidiane. Alcuni, purtroppo, parlano in altra veste, quella sindacale, ma per difendere diritti (o pretesi diritti, come quello di esser assunti senza concorso), non per far valere doveri verso la collettivi­tà, operando quindi come forza di conservazi­one, non di modernizza­zione del Paese.

Ostacoli

I cambiament­i necessari producono risultati solo sul lungo periodo. Poi c’è un deficit di competenze

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