Corriere della Sera

Dolore, orgoglio: il ritorno alla vita

- di Marco Imarisio

Abbiamo deciso di tenere insieme il dolore e la gioia, perché senza il primo non è possibile parlare della seconda. E non sarebbe neppure giusto. In un Paese che ormai per definizion­e ha la memoria corta, esiste sempre più la tendenza a separare momenti di un’unica vicenda, nel tentativo di sottolinea­rne solo gli aspetti più edificanti, o convenient­i, dipende dai punti di vista. Ma la nascita del nuovo ponte di Genova è invece diretta conseguenz­a della morte del vecchio ponte Morandi, che collassand­o su sé stesso ha trascinato con sé 43 vite umane, gente che in quella piovosa vigilia di Ferragosto stava lavorando, tornando dal lavoro, andando in vacanza. E all’improvviso più niente. Quindi il racconto delle dieci tappe che hanno portato all’inaugurazi­one di oggi, a una infrastrut­tura poco italiana, perché costruita presto e bene, devono cominciare per forza da quella mattina del 14 agosto 2018. Dal momento in cui tutti ci fermammo a guardare increduli, «Dio mio, non è possibile», le immagini che rimbalzava­no sui social di quel moncone sospeso nel vuoto, di quel buco sull’orizzonte di Genova, innaturale come una ferita. Che oggi, grazie al lavoro di ingegneri, operai, progettist­i, di persone hanno lavorato sentendosi in missione, può essere chiusa con l’inaugurazi­one di un altro viadotto.

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