Dolore, orgoglio: il ritorno alla vita
Abbiamo deciso di tenere insieme il dolore e la gioia, perché senza il primo non è possibile parlare della seconda. E non sarebbe neppure giusto. In un Paese che ormai per definizione ha la memoria corta, esiste sempre più la tendenza a separare momenti di un’unica vicenda, nel tentativo di sottolinearne solo gli aspetti più edificanti, o convenienti, dipende dai punti di vista. Ma la nascita del nuovo ponte di Genova è invece diretta conseguenza della morte del vecchio ponte Morandi, che collassando su sé stesso ha trascinato con sé 43 vite umane, gente che in quella piovosa vigilia di Ferragosto stava lavorando, tornando dal lavoro, andando in vacanza. E all’improvviso più niente. Quindi il racconto delle dieci tappe che hanno portato all’inaugurazione di oggi, a una infrastruttura poco italiana, perché costruita presto e bene, devono cominciare per forza da quella mattina del 14 agosto 2018. Dal momento in cui tutti ci fermammo a guardare increduli, «Dio mio, non è possibile», le immagini che rimbalzavano sui social di quel moncone sospeso nel vuoto, di quel buco sull’orizzonte di Genova, innaturale come una ferita. Che oggi, grazie al lavoro di ingegneri, operai, progettisti, di persone hanno lavorato sentendosi in missione, può essere chiusa con l’inaugurazione di un altro viadotto.