Corriere della Sera

Mario morto in Colombia Indagati quattro poliziotti

I genitori del cooperante napoletano: mai creduto al suicidio

- di Fulvio Bufi

Il corpo di Mario Paciolla adesso riposa nel cimitero della sua città, Napoli. Mario sarebbe dovuto tornare il 20 luglio scorso, e sarebbe dovuto tornare come tornava sempre: con l’entusiasmo per il lavoro fatto fino al giorno prima e con il desiderio di ripartire per ricomincia­re, in qualche parte del mondo, a lavorare per aiutare gli altri. Invece è rientrato in una bara, e sulla sua morte, avvenuta il 15 luglio in Colombia, a San Vicente de Caguan, si addensano ombre che non solo fanno pensare sempre più a un omicidio, ma fanno anche temere inquietant­i tentativi di ostacolare la ricerca della verità.

Mario Paciolla aveva 33 anni e a San Vicente lavorava con un contratto di collaboraz­ione con le Nazioni Unite in un progetto mirato ad agevolare il processo di pacificazi­one tra ex guerriglie­ri delle Farc e lo Stato colombiano. La mattina del 15 luglio fu trovato in casa, impiccato e con il corpo martoriato da molte ferite da lama. Aveva anche profondi tagli ai polsi, ma che si sia ucciso non lo hanno mai creduto i suoi genitori, il papà Giuseppe e la mamma Anna Motzionari

ta, e l’ipotesi viene sempre più esclusa anche dalle indagini delle autorità colombiane, mentre un fascicolo è stato aperto pure dalla Procura di Roma, competente sulle morti sospette di cittadini italiani all’estero. E i sospetti aumentano alla luce degli ultimi sviluppi investigat­ivi.

Secondo il quotidiano colombiano El Espectador, che segue da vicino il caso, quattro agenti della polizia locale sono finiti sotto inchiesta per aver consentito ad alcuni fun

dell’Unità indagini speciali del dipartimen­to Salvaguard­ia e Sicurezza delle Nazioni Unite di raccoglier­e e portare via dalla casa di San Vicente una parte degli effetti personali di Mario, sottraendo quindi alle indagini materiale che si sarebbe potuto rivelare prezioso. Perché lo avrebbero fatto? Se lo chiede il senatore Sandro Ruotolo, che sollecita un intervento chiarifica­tore del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Ma soprattutt­o se lo chiedono il papà e la mamma di Mario. Che al suicidio non hanno mai creduto — spiegano tramite le loro legali Alessandra Ballerini e Emanuela Motta — «per il suo grande ottimismo, per la sua voglia smodata di amore per la vita, per l’attaccamen­to alla famiglia, agli amici, alla sua città. E per i progetti che con noi aveva fatto per il suo ritorno a Napoli: stava studiando il francese per poi prendere qui il titolo per l’insegnamen­to».

Ma il pensiero fisso di Giuseppe e Anna è a una videochiam­ata che il figlio fece a casa l’11 luglio. «Chiamò a un orario insolito. Era preoccupat­o per alcuni dissapori nati con l’organizzaz­ione, ci raccontò di aver discusso con alcuni colleghi e ci annunciò di volere rientrare subito in Italia, aveva molta fretta di uscire dalla Colombia e ci disse di voler chiudere definitiva­mente con l’Onu. Nei giorni successivi ci siamo sentiti quotidiana­mente, ci è sempre apparso molto preoccupat­o, a tratti impaurito. Il giorno 14 ci ha detto di aver ricevuto la documentaz­ione necessaria per partire e in quella stessa notte aveva acquistato un biglietto per Parigi per il giorno 20».

Ora l’attenzione massima spetta alle autorità italiane. I genitori di Mario ci contano: «Il ministro degli Esteri Di Maio, la Farnesina, il presidente della Camera Fico, il sindaco di Napoli de Magistris. Tutti ci hanno promesso di adoperarsi alla ricerca della verità per poter dare giustizia a Mario. È l’unica cosa che desideriam­o».

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Famiglia I genitori di Mario Paciolla alla commemoraz­ione del figlio, cooperante in missione Onu (Foto: Ansa)
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