Corriere della Sera

Afghani uccisi a sangue freddo I raid dei corpi speciali britannici e quelle mail che li inchiodano

La scoperta di messaggi riservati tra alti ufficiali: 33 i casi sospetti

- di Lorenzo Cremonesi

All’una di notte del 16 febbraio 2011 gli elicotteri neri Chinook delle squadre speciali britannich­e (Sas) atterrano presso il villaggio di Gawahargin. Abitazioni d’argilla basse, circondate da mura e attorno campi coltivati, molti dei quali a papaveri per la produzione dell’oppio. Siamo nel distretto di Helmand, nell’Afghanista­n meridional­e, che negli ultimi cinque anni è diventato il cuore combattent­e della rinascita del movimento talebano. I soldati sono il meglio dell’esercito di Sua Maestà: addestrati per l’antiguerri­glia, combattono spesso a fianco dei Marines americani.

Sembra una missione di routine. Cercano armi, esplosivo e soprattutt­o vorrebbero catturare il 22enne Saddam assieme al fratello 24enne Atta Ullah. Specie Saddam è sospettato di costruire le famigerate bombe improvvisa­te, che tante vittime stanno causando tra le file della coalizione Nato-Isaf in tutto il Paese. L’intelligen­ce è accurata, negli ultimi tempi sono entrate in azione le nuove forze di difesa afghane, armate e addestrate dalla coalizione internazio­nale (di cui è parte importante anche il contingent­e italiano tra Kabul e la provincia di Herat) e posseggono una buona rete di informator­i locali. Però pare che qualche cosa non vada per il verso giusto. A sentire il racconto dell’oggi quasi trentenne Saifullah Yar, fratello più giovane dei due ricercati, i britannici sparano. E lo fanno con il chiaro intento di uccidere, di eliminare il massimo numero di uomini in età da poter partecipar­e alla guerriglia. Prima fanno uscire le famiglie di due abitazioni limitrofe. Possiamo immaginarl­o. Nel cuore della notte. Gli uomini vengono subito bendati con uno straccio nero, le mani legate dalle manette di plastica. Le donne che si coprono in fretta, i bambini che piangono spaventati in braccio. Il racconto di Yar nella prima fase coincide con i rapporti interni delle Sas. Gli ufficiali ordinano al padre di Saifullah, il 55enne Abdul Khaliq, di rientrare nell’abitazione vuota per aprire le finestre e facilitare la perquisizi­one.

Ma da qui le versioni divergono. Secondo le Sas l’uomo obbedisce, entra in casa, però poi da dietro una porta prende una granata e cerca di tirarla contro i soldati. L’ordigno non esplode. I militari lo uccidono con una decina di colpi di mitra tirati alla testa e al collo. Saifullah invece parla di esecuzione mirata. E lo stesso ribadiscon­o gli uomini delle forze afghane arrivate con i britannici. «Non c’è stata alcuna aggression­e da parte di Khalik. È stato ucciso a sangue freddo», ribadiscon­o agli avvocati, che adesso cercano giustizia presso l’Alta Corte di Londra. Lo stesso pare sia avvenuto per gli altri tre uomini assassinat­i nei minuti seguenti: i due fratelli più anziani e un cugino di Saifullah. Il resoconto dell’unità coinvolta, redatto subito dopo, li accusa di aver cercato di prendere il mitra e reagire. Ma anche per loro il dubbio è che fossero del tutto innocenti.

Da allora Saifullah ha cercato più volte di portare il caso a processo. E in verità gravi sospetti che tra le Sas si fosse imposta una cruda politica di eliminazio­ne preventiva di nemici potenziali nelle aree «calde» dell’Afghanista­n erano sorti sia ai loro comandi a Kabul che al quartier generale in Gran Bretagna. Come segnala ora la stampa inglese, inclusi Bbc e Sunday Times, le prime inchieste si erano annacquate nei «non ricordo» e nei casi di «amnesia collettiva» tra gli uomini delle unità sospette. Ora però la scoperta di un file di mail riservate tra alti ufficiali delle Sas operativi in quel periodo rischia di portare in tribunale a testimonia­re lo stesso Segretario alla Difesa, Ben Wallace.

Emerge che addirittur­a 33 persone innocenti potrebbero essere state eliminate senza motivo nel corso di undici raid notturni nei tre mesi compresi tra l’8 gennaio e il 2 aprile 2011. Un sospetto che getta fango sull’intera coalizione e necessita di essere chiarito.

«Hanno ucciso mio padre con una decina di colpi di mitra alla testa e al collo»

I fatti risalgono al 2011 Coinvolti i corpi speciali Il ministro della Difesa tra i possibili teste

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Un soldato in Afghanista­n, dove è in atto una rinascita del movimento talebano
Guerra infinita Un soldato in Afghanista­n, dove è in atto una rinascita del movimento talebano

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