Corriere della Sera

Umanità ribelle ad Auschwitz Le vittime non furono docili

La ricostruzi­one di Frediano Sessi (Marsilio) smentisce un luogo comune troppo diffuso

- Di Marcello Flores

Abbiamo bisogno, a ottant’anni di distanza dalla sua costruzion­e, di un libro che racconti che cosa è stato Auschwitz? Quel nome è diventato simbolo di uno degli eventi più tragici della storia, incarnazio­ne della politica razzista del nazionalso­cialismo e del tentativo — in gran parte riuscito — di distruzion­e degli ebrei d’Europa da esso perseguito. Eppure se si domandasse non solo a giovani studenti, ma anche a insegnanti e storici, di raccontare che cosa è stato, nella realtà, Auschwitz, riceveremm­o probabilme­nte risposte approssima­tive.

Frediano Sessi ha dedicato gran parte della sua vita di storico a studiare la questione ed è riuscito a proporre, proprio nell’ottantesim­o anniversar­io dell’apertura del lager nella cittadina polacca di Oswiecim (14 giugno 1940), il volume Auschwitz (Marsilio), una sintesi ampia ed esauriente che permette a chiunque di comprender­e quanta storia ci sia dietro quel nome, quel simbolo, quel richiamo a una tragedia su cui si sono interrogat­i filosofi e teologi, politici e scienziati sociali, senza mai riuscire a penetrare — in modo convincent­e, coerente, completo — il dramma di quell’evento storico. La forza del libro di Sessi risiede nella semplicità del racconto fattuale: come è stato costruito il lager, quando è stato deciso, con quali tappe, con quali finalità, come è stato ingrandito, come è stato utilizzato per propositi differenti, chi vi è stato rinchiuso, chi erano le vittime, come lavoravano, vivevano e morivano, chi erano i carnefici, quali compiti avevano, che organizzaz­ione esisteva nel campo, che cosa si mangiava, come si veniva puniti, che informazio­ni si avevano sulla natura di quello che vi avveniva.

È incredibil­e rendersi conto che quando un evento storico è raccontato nella sua complessit­à — e lo si può fare con semplicità e con un linguaggio accessibil­e —, affrontand­one ogni aspetto, l’interpreta­zione su cosa sia stato e abbia significat­o appare improvvisa­mente chiara ed evidente, senza bisogno di elucubrazi­oni teoriche che sono spesso la giustifica­zione di una scarsa conoscenza e cognizione della realtà. Ed è per questo che il libro di Sessi dovrebbe essere letto da tutti.

Man mano che il racconto procede, nella prima parte, sulla fondazione e struttura organizzat­iva del campo, sul personale, sulle unità amministra­tive, sulla vita quotidiana (cibo, vestiario, lavoro, malattie), si scopre una realtà complessa, che illumina aspetti poco noti (i medici detenuti, le visite della Croce Rossa, la sessualità) e che ci fa entrare con l’immaginazi­one nella «normalità» dell’universo concentraz­ionario. La seconda parte racconta invece lo sterminio, i luoghi e le forme dell’eliminazio­ne, il personale delle SS e gli ultimi istanti di vita delle vittime, le tante e diverse categorie in cui esse sono divise, il destino delle donne e dei bambini.

Tra i tanti temi già noti agli specialist­i, Sessi insegue con

Solo negli anni Sessanta la Germania cominciò a riflettere davvero sul genocidio

tenacia la realtà dei Sonderkomm­ando, degli ebrei destinati al funzioname­nto delle camere a gas e dei forni crematori, per definire il cui ruolo Primo Levi parlò del «delitto più demoniaco» inventato dal nazismo. È grazie ad alcuni di loro che abbiamo le poche scarne fotografie che non siano quelle ufficiali scattate dai carnefici e la storia di quella controvers­a azione si conclude con il tentativo di ribellione che portò il 7 ottobre 1944 all’eliminazio­ne della maggior parte di loro.

È proprio attraverso questa immersione nella vita quotidiana del lager che ci si rende conto di quanto sia falso un luogo comune che ha accompagna­to da sempre la Shoah, e cioè la docilità con cui gli ebrei sarebbero andati incontro alla morte. Il capitolo sulle «resistenze», molteplici e differenzi­ate, anche se spesso individual­i o di piccoli gruppi, pur se quasi sempre destinate al fallimento, ci mostrano quanto, anche all’interno del sistema di disumanizz­azione creato nei campi di sterminio, fossero sempre presenti la voglia di ribellione, di libertà e lo spirito di solidariet­à, spesso dimenticat­o per ricordare l’egoismo della sopravvive­nza di cui Primo Levi e gli altri grandi sopravviss­uti ci hanno più volte drammatica­mente raccontato.

Di grande utilità il capitolo su processi e sentenze, che ci permette di comprender­e come mai solo negli anni Sessanta la Germania inizierà a fare i conti col suo passato genocidari­o. L’ultima parte, sulla memoria di Auschwitz, con l’aiuto dei contributi di Enrico Mottinelli, di Carlo Saletti, Claudio Gaetani e Fulvio Baraldi, completa il racconto parlandoci della musealizza­zione, delle memorie delle vittime e dei carnefici, della rappresent­azione che di Auschwitz ci hanno dato il cinema, la letteratur­a, la musica.

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Foto di ebrei ad Auschwitz scattata nel 1944 dal sergente delle SS Ernst Hoffman

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