ILLUDERSI A COLPI DI BONUS
La formula di rito «salvo intese tecniche» lascia aperta una prateria di interpretazioni del Decreto Agosto. Una manovra da 25 miliardi che porta l’ammontare degli interventi di quest’anno a più di 100 miliardi. Di nuovo deficit. E, dunque, di nuovo debito pubblico che Mazziero Research stima a fine anno tra i 2 mila 547 e i 2 mila 577 miliardi. Non stiamo ancora impiegando i sussidi e i prestiti dei piani di emergenza europei. Anche se la sensazione che può ricavare un qualsiasi spettatore del dibattito pubblico, non necessariamente distratto, è che siano già stati incassati. E non vi siano limiti di spesa. Il governo cerca di soddisfare tutte le richieste d’aiuto. Alcune sacrosante e indifferibili a favore di categorie colpite dal virus: dalla proroga della cassa integrazione e della moratoria sui mutui alla dilazione delle scadenze fiscali. Altre un po’ meno. Sfugge, tanto per fare un esempio, l’urgenza e l’opportunità di un condono per i concessionari delle spiagge in contenzioso con lo Stato sui canoni demaniali. Nell’abbondanza percepita dei mezzi a disposizione, l’attenzione agli sprechi e alle conseguenze future sulle finanze pubbliche delle varie misure viene meno. Il vincolo di bilancio sembra essere saltato per sempre. Ma non è così.
Il costo di finanziamento del debito supplementare che stiamo accumulando in questi mesi — tenuto basso dagli acquisti della Banca centrale europea — è comunque di mercato.
Largamente più elevato del programma per la Sanità legato al Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, che il governo mostra, almeno per ora, di non volere. Nel Decreto Agosto vi sono alcune importanti misure per ridurre le liste d’attesa formatesi negli ospedali a causa del lockdown: assunzioni di medici, personale sanitario, ecc. Valgono 482 milioni. L’equivalente del risparmio annuo in spesa di interessi che si avrebbe aderendo al prestito Mes. Questi fondi si aggiungono allo stanziamento di 1,4 miliardi previsto dal Decreto Rilancio in vigore dal 19 maggio. Il piano di emergenza per adeguare i reparti di terapie intensive è già in ritardo. Nonostante la crescita dei contagi e il rischio di una seconda ondata. Ciò dimostra che i soldi, oltre ad averli a costi il più possibile bassi, bisogna anche saperli spendere presto e bene. Specie per la Sanità. E così dovrà avvenire per i 209 miliardi — cifra che non si dovrebbe ricordare a ogni pie’ sospinto — del programma Next Generation Eu. Investimenti per migliorare il capitale umano, digitalizzare il Paese, promuovere nuove aziende e nuovi posti di lavoro in una economia più sostenibile. Non per conservare, a tutti i costi, ciò che è vecchio e decotto. Per creare nuovi redditi, non per trasferirli. Le risorse affluiranno per pochi anni. Non per sempre (altra percezione sbagliata). E i prestiti si rimborsano dal 2027.
Non ci si può illudere poi di vivere a lungo di bonus e sussidi. A questo proposito è un bene che sia stato accantonato il bonus sui consumi per aiutare soprattutto i ristoratori. A beneficio di tutti senza distinzione di reddito. Meglio il soccorso a fondo perduto per chi ha subito più perdite specie nei centri storici. Di bonus fiscali ce ne sono già tanti. Alcuni indispensabili per sostenere intere filiere (costruzioni, auto); altri di dubbia efficacia. Come il bonus vacanze che stenta ad essere accettato, nella sua complicazione, dagli alberghi. In qualche caso si è finanziato, con soldi pubblici, acquisti già in crescita perché di moda (come i monopattini). Verdi ma voluttuari. Il taglio del 30 per cento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro delle imprese al Sud è un utile esperimento. Durata tre mesi, per ora. Anche se l’orizzonte è al 2029. Ma è chiaro che una fiscalità di vantaggio — sempre che Bruxelles la approvi — attira nuovi investimenti se è stabile. E poi c’è sempre un problema, non piccolo, di costo. Vale a regime per il 2021 cinque miliardi senza contare gli effetti sul maggiore gettito Ires e Irpef. Parlare di reindustrializzazione del Sud, come fa il premier, appare eccessivo.
L’Italia è il Paese con il maggior numero di spese fiscali. Secondo la Commissione Maré sono più di 800 le detrazioni, deduzioni, bonus e agevolazioni fiscali di vario tipo. Sono cresciute negli ultimi mesi a un ritmo ancora più elevato che in passato. La loro dimensione media è relativamente piccola. A dimostrazione che interessano anche minute corporazioni. Ognuna delle quali conta più dell’insieme dei contribuenti. Si mettono facilmente. Toglierle è complesso (significa aumentare le tasse). Sarebbe il caso di rivederle. Ma nella bonanza apparente di fondi europei chi discute più di spending review? Perché, visto che parliamo di green new deal non cancellare i sussidi ad attività e consumi dannosi per l’ambiente (valore 19 miliardi
Abbaglio
Nell’abbondanza percepita dei mezzi a disposizione, l’attenzione agli sprechi e alle conseguenze viene meno
annui)? Dovendo poi scrivere il programma per l’economia circolare e sostenibile che verrà (giustamente) finanziato dai fondi europei, forse non è da dimenticare l’incredibile spreco di risorse per gli incentivi alle fonti rinnovabili che ancora paghiamo sulle bollette dell’elettricità. Un obiettivo di cui il Paese può essere fiero, ma non per l’efficienza nell’uso delle risorse destinate allo scopo. Lezione che forse è stata dimenticata troppo in fretta.
Nel Decreto Agosto compaiono alcune misure di rilevanza strutturale. Come per esempio i 950 milioni per il sostegno delle imprese in progetti di interesse europeo. Viene rifinanziato (7,8 miliardi per il triennio 2023-25) il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, favorendone l’accesso al credito con una garanzia pubblica. Ma sono numerosi gli interventi dello Stato. Come nell’Ilva (470 milioni dati a questo scopo a Invitalia). In generale «per iniziative strategiche da realizzarsi mediante operazioni finanziarie, inclusa la partecipazione diretta o indiretta al capitale, a sostegno delle imprese e dell’occupazione anche nel Mezzogiorno». Difficile con una formulazione di questo tipo dire qualche no. L’ultima illusione è quella di uno Stato «imprenditore di ultima istanza». Disposto anche a perdere soldi se necessario. A carico dei contribuenti.