Corriere della Sera

Il Mar cinese meridional­e, Trump e la pericolosa deriva guerresca

- di Sergio Romano

Non credo che Donald Trump stia progettand­o per il mare della Cina meridional­e una Nato asiatica di cui sarebbero membri tutti i Paesi della regione (dal Brunei a Singapore) che hanno qualche ragione per dubitare delle intenzioni cinesi. L’idea gli è stata attribuita e forse gli è passata per la testa, ma questo presidente degli

Stati Uniti non ama la diplomazia multilater­ale delle grandi organizzaz­ioni internazio­nali e la sua strategia preferita nei rapporti con la Cina è, sin dall’inizio della sua presidenza, quella dei continui colpi di spillo con qualche occasional­e colpo di spada, come l’accusa di avere diffuso il coronaviru­s nel mondo. Ma è certamente vero che la regione si sta progressiv­amente militarizz­ando e sta divenendo un potenziale campo di battaglia. La Cina ha esteso da qualche anno il suo territorio alle isole Paracelso, un arcipelago composto da 103 isolotti che nel corso della storia sono stati anche francesi e giapponesi. E allo stesso tempo crea nuove isole con iniezioni di cemento in piccoli tratti di terra che nelle carte marittime erano soltanto scogliere. Nelle scorse settimane due ministre australian­e (Esteri e Difesa) hanno firmato a Washington con le autorità Usa un accordo di collaboraz­ione militare per la regione e hanno sottoscrit­to una dichiarazi­one comune contro le rivendicaz­ioni territoria­li della Repubblica popolare. Vi sono responsabi­lità in ciascuno dei due campi, ma la situazione sarebbe forse diversa se Trump non trattasse la Cina ormai da qualche anno come un potenziale nemico e non avesse voltato le spalle al Partenaria­to per il Pacifico (il Trans-Pacific Partnershi­p Agreement) : un accordo che era stato firmato il 4 febbraio 2016, durante la presidenza Obama, da Australia, Brunei, Canada. Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam e Stati Uniti. Ma Trump ha ritirato la firma nel gennaio del 2017, qualche settimana dopo l’inizio della sua presidenza e gli altri Paesi hanno proseguito sulla loro strada dando un altro nome alla loro iniziativa. Forse la partecipaz­ione americana a quell’accordo, come un’altra iniziativa di Obama che fu chiamata Pivot to Asia (un perno per l’Asia), non sarebbe bastata a tranquilli­zzare un Paese diffidente e sospettoso come la Cina. Ma avrebbe aperto prospettiv­e commercial­i a cui la Cina, oggi, non sarebbe insensibil­e. Il Paese continua a crescere, ma a una percentual­e annua che è scesa dal 10% degli anni migliori al 6,7%. Continua a comprare buoni del Tesoro americano, ma è stata superata nella campagna degli acquisti da Germania e Giappone. La Cina ha grandi risorse ed è molto operosa, ma deve fare i conti con una concorrenz­a non meno laboriosa in Europa e nelle Americhe. E il governo di Xi Jinping deve sfamare una popolazion­e di 1 miliardo e 393 milioni. Gli Stati dei mari della Cina sono clienti a cui non conviene voltare le spalle.

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