«Telecomunicazioni, perché la rete unica deve essere neutrale»
L’INTERVENTO FRANCO BASSANINI Il presidente di Open Fiber: condivisa da tutte le Telco
Per quanto irrituale, l’iniziativa del governo ha sparigliato le carte e costretto tutti a prendere posizione su una questione cruciale: come accelerare la costruzione di una rete di Tlc in fibra ottica, che copra tutto il Paese, senza lasciare indietro nessuno. Sull’obiettivo tutti concordano: del resto anche il lockdown ha confermato quanto una infrastruttura «a prova di futuro” (FTTH, 5G e edge cloud computing) sia decisiva per la crescita e la competitività del Paese, ma anche per l’istruzione, la salute, la sicurezza, la qualità della vita. Anche sullo strumento (una infrastruttura unica che eviti la duplicazione di investimenti nelle aree più redditizie e il digital divide nelle altre) si registra un coro di consensi: tra le forze politiche, gli operatori (Tim, Vodafone, Fastweb, Wind, Sky), i soggetti finanziari e industriali coinvolti (Cdp, Enel, Vivendi). Ma è vera unanimità? Trenta anni fa c’era, in Italia (come negli altri maggiori paesi europei), una rete unica di Tlc: quella costruita in concessione da una società controllata dallo Stato (Sip). Era tra le migliori al mondo, tra le prime a sperimentare la fibra. Sip fu poi privatizzata, e in pochi anni piombammo agli ultimi posti nelle classifiche europee. Anche altri Paesi privatizzarono. Ma molti riservarono una partecipazione di controllo allo Stato, per garantire che l’interesse al profitto a breve non prevalesse sugli investimenti nell’ammodernamento della infrastruttura. Quasi dovunque, poi, si passò dalla rete unica alla competizione fra più reti, innescata dalle Tv cavo (capaci di assicurare, con il Docsis 3.1, connettività pari a quella delle reti in fibra): per non perdere terreno, anche l’ex monopolista fu costretto a investire. Negli altri Paesi dunque, non c’era più la rete unica. Ma se la passavano meglio di noi.
Di qui la decisione, 4 anni fa, di far nascere Open Fiber. Per costruire una rete tutta in fibra. E per costringere Tim a investire. In 4 anni, Open Fiber ha connesso in FTTH più di 8 milioni di case (su 30 milioni) e anche Tim ha cominciato a investire sulla fibra (anche se per lo più fino all’armadio, non fino alle case). Dal 27° posto nelle classifiche europee siamo risaliti al 17°.
Tutto bene dunque? Continuiamo, come nel resto d’Europa, con la competizione infrastrutturale? No: il mercato in Italia è più ristretto (la Tv viaggia per lo più, da noi, sul digitale terrestre), e con due reti c’è il rischio che ampie aree del Paese restino a lungo scoperte: al massimo con la fibra fino all’armadio, forse neanche. La rete unica consentirebbe una forte accelerazione.
Ma ci sono due modelli di rete unica. La rete unica verticalmente integrata, controllata da un fornitore di servizi di Tlc: in pratica il ritorno al passato, al monopolio di Tim. Oppure una rete unica neutrale, partecipata da tutte le Telco ma non controllata da nessuna, caso mai dallo Stato, garante dell’interesse generale a un’accelerazione degli investimenti: si può farla salvaguardando i legittimi interessi economici degli azionisti e dei dipendenti Tim (non la pretesa di ritorno al passato).
Le autorità di regolazione (Agcm e Agcom) e il Parlamento si sono pronunciati per questo secondo modello: le prime nel 2014, il secondo a fine 2018. Il nuovo Codice europeo delle Comunicazioni elettroniche pure. Peraltro, il ritorno al monopolio di Tim esporrebbe a tre rischi seri: una bocciatura dell’Antitrust europea e italiana; il rifacimento delle gare per le aree a fallimento di mercato, dove la concessione impone la neutralità del concessionario; un lungo e paralizzante contenzioso innescato dai concorrenti di Tim, disposti a rinunciare ai vantaggi (per loro) della competizione infrastrutturale, ma non a costo di doversi comunque servire dell’infrastruttura di proprietà del loro principale concorrente. Nessuno garantisce poi che, recuperata una posizione di monopolio, non prevalga fra gli azionisti di Tim (in gran parte stranieri) la logica del profitto a breve, e dunque l’interesse a ritardare la sostituzione del rame con la fibra.
I rimedi di governance sperimentati (in Italia e altrove) per limitare le pratiche anticompetitive del monopolista non hanno funzionato; tanto che le autorità antitrust hanno dovuto ripetutamente intervenire per sanzionare i suoi
Monopolio da evitare
L’alternativa non può essere l’impossibile ritorno al monopolio di un solo competitore
abusi. L’esempio inglese è il migliore, ma serve poco, perché in UK non c’è una rete unica, e dunque le Telco possono scegliere di usare reti alternative. Il coinvestimento è visto bene dal Codice europeo: ma presuppone non una società unica, ma la competizione fra più società verticalmente integrate, che finanziano in comune infrastrutture passive ancora da costruire. Praticabile è dunque solo il modello della rete unica neutrale, non controllata da una Telco, ma condivisa da tutte: una public company, o una rete controllata dallo Stato, garante della sicurezza della rete e dei dati e del diritto universale alla migliore connettività (FTTH, 5G e edge cloud computing). L’alternativa è proseguire nella competizione infrastrutturale, con pregi e difetti; non l’impossibile ritorno al monopolio di un solo competitore.