«Hitler? Un Attila motorizzato» I pensieri del cardinale Tardini
Il «Diario», edito da San Paolo, del futuro segretario di Stato, molto vicino ai pontefici Pio XI e Pio XII, copre il periodo 1936-1944
Personaggio centrale dei labirinti vaticani di sicuro rilievo storico, Domenico Tardini (1888-1961) torna ora in libreria con l’inedito Diario
di un cardinale (1936-1944), curato, per esplicito invito di Papa Francesco, da Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio Vaticano (San Paolo). Il Diario, ritrovato tra le carte del cardinale Antonio Samorè, era stato edito, per gli anni 1933-36, da Carlo Felice Casula nel 1988, mentre nel 1959 lo stesso Tardini aveva pubblicato i suoi ricordi su Pio XII. I documenti pubblicati nel volume integrano, anche con vivaci annotazioni, quelli già inseriti negli undici volumi dei fondamentali Actes et documents du Saint-Siège (1939-1945), editi dal Vaticano
tra il 1965 e il 1981.
Integrano molto utilmente anche gli studi sul papato di quegli anni e sul nostro prelato, opera di Di Nolfo, Riccardi, Chadwick, Giovannetti, Graham, Aga Rossi, Casula, Blet, Ceci, Pastorelli, Cavalli, Nicolini, Vian, Martini, Coco, Fattorini, Sale, Valvo,
Riebling. Secondo l’avvertito curatore, si tratta di un «diario ideale di storia vissuta», introdotto da Pagano con conoscenza diretta di tutte le fonti e con specifiche intuizioni.
Sono gli anni dell’ultimo Pio XI e della sua malattia, delle sue encicliche contro nazismo e comunismo, del famoso (mai pronunziato a causa della sua morte) discorso per il decennale della Conciliazione con l’Italia di Benito Mussolini (1939), dei suoi contraddittori rapporti con quest’ultimo sull’Azione cattolica e sulle leggi razziali (1938), della Seconda guerra mondiale, con i bombardamenti di Roma «città aperta», e la Liberazione, e quelli del primo Pio XII (eletto pontefice il 2 marzo 1939, ma segretario di Stato dal 1930).
Le prime annotazioni risalgono al marzo del 1936 e le ultime alla fine del giugno 1944, con il riferimento ad un messaggio del capo della polizia di Roma «città aperta», generale Umberto Presti, il quale riferisce come, nelle prime ore del 4 giugno, con gli Alleati alle porte, lo spietato generale Kurt Maelzer, comandante nazista della piazza della capitale, «mezzo ubriaco», gli avesse lasciato la città in mano: «Faccia lei! Io me ne vado!». Dal canto suo l’ambasciatore di Hitler (definito «Attila motorizzato» da Tardini, che ricorda come Pio XI considerasse, nel novembre 1938, Mussolini «pilatone, villanzone, …commediante»), Ernst von Weiszäcker, aveva dichiarato, con disappunto, al padre Ivo Zeiger, rettore del Collegio germanico, il quale lo riferì a Pio XII, che i tedeschi «avevano preparato tutto per fare molti danni e molte distruzioni… ma ciò non fu potuto eseguire». Nel 1936 e nel 1939 Papa Ratti aveva più volte ripetuto a Tardini — invitandolo a non fidarsi di persone laiche ed ecclesiastiche che incontrava in Vaticano — un insegnamento della sua mamma: «A pensar bene insegna la dottrina, ma a pensar male ci si indovina!».
Negli anni considerati nel Diario, Tardini passa da sottosegretario (1929) a segretario (1937) della Congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari, con una breve sosta, nel 1935, quale sostituto, alla sezione Affari ordinari della Segreteria di Stato. Nel 1952 diventerà prosegretario di Stato e nel 1958 cardinale e segretario di Stato con Papa Roncalli, del quale era stato condiscepolo al Seminario romano, mentre aveva seguito i corsi di catechismo alla Chiesa Nuova dell’allora giovane don Eugenio Pacelli.
Negli anni della Prima guerra mondiale aveva avuto contatti «di sentimenti e di idealità» anche con don Giuseppe De Luca e con don Benedetto Fabrizi (del quale varrebbe la pena di pubblicare il carteggio con Tardini), il quale frequentava, nell’eremo di Campello, il pluricondannato don Ernesto Buonaiuti (nato a Roma nel 1881), esponente maggiore del Modernismo italiano, movimento che Tardini definì, con rincrescimento, fenomeno «caotico e doloroso» nei confronti del quale la Chiesa, «per salvaguardare il divino e l’umano», era stata costretta ad «adottare misure rigidissime, spesso repressive e più d’una volta addirittura liquidatrici».
Quanto a nazismo e comunismo, Tardini li considerò «tutti e due… i peggiori per la Chiesa», definendo il nazionalismo «la peste dell’epoca nostra», mentre la legislazione ecclesiastica italiana precedente i Patti del Laterano del 1929, verrà da lui giudicata «un insieme di sciocchezze, di contraddizioni, di sofismi, di settarietà, di massonismo anticlericale». Del Concordato di Mussolini dirà che «tutti i concordati sono destinati ad essere trasgrediti ed infine a cadere», restando scettico sul «legame inscindibile tra Trattato e Concordato» proclamato da Pio XI e sullo Stato vaticano «così minuscolo e così presuntuoso, così povero e così sciupone, così lillipuziano e così saturo di impiegati e onusto di stipendi». (11 febbraio 1934).
Del resto Buonaiuti, in un opuscolo del 1946 (Paganesimo, germanesimo, nazismo, ora Book Time, 2019), aveva affermato che la cultura nazista aveva «offerto la riprova del ritorno al paganesimo delle origini teutoniche», che mai «aveva conosciuto una reviviscenza più palese e più temeraria» e del quale il nazismo era «la funesta trasmissione in termini di ferro e sangue».
In occasione della crisi tra Vaticano e Mussolini per l’Azione cattolica (1931) Tardini mise a frutto la sua duplice esperienza di alto funzionario della Santa Sede e di assistente ecclesiastico centrale della Gioventù cattolica. La crisi si risolverà grazie alla mediazione del gesuita padre Pietro Tacchi Venturi — il quale, dagli inizi del 1923, fungeva da tramite riservato tra il Duce e i Pontefici romani — non troppo apprezzata da Tardini.
Tardini fece il tentativo di un accordo concordatario al tempo della Repubblica spagnola, proclamata nell’aprile 1931, che definirà nel 1934 «un miscuglio di fede e di incredulità, di Chiesa e di anticlericalismo»: si trattava di un modus vivendi, di cui scrive nel Diario il 4 giugno 1934, commentando la visita del ministro degli Esteri e ambasciatore spagnolo, Leandro Pita Romero, al segretario di Stato Pacelli: «Mentre cammina sulla soffice guida…
Era scettico sul futuro dello Stato della Città del Vaticano, «così lillipuziano e così saturo di impiegati e onusto di stipendi»
delle grandi occasioni, penso: questi tappeti smorzano tutto… anche il passo marziale dei rivoluzionari».
Certo è che l’ambasciatore del governo franchista dichiarò il 2 novembre 1938, durante la guerra civile, al suo ministro degli Esteri che Tardini era «il nostro nemico principale nella Curia». Del resto anche l’elezione di Pio XII verrà accolta dai franchisti, secondo l’ambasciata d’Italia, «con non celata freddezza» nel timore che continuasse la «condotta fredda e incerta nei confronti del governo di Franco» praticata dal Pacelli segretario di Stato. In proposito, come risulta dalle «note» di Tardini del 1939, Pio XI non aveva dubbi sulla sua successione, mentre lo stesso Tardini, in una lettera a Giorgio Montini, fratello del futuro Paolo VI, parlerà di quest’ultimo come «fratello più che compagno» di cui aveva quotidianamente sperimentato «la sua capacità, il suo spirito di sacrificio, la sua grande virtù».
Ricorderei anche che Ennio Di Nolfo attribuisce a Tardini un memorandum del dicembre 1943 che non solo esalta la democrazia, ma sostiene la necessità di «estirpare il fascismo» e accusa Pietro Badoglio per la situazione «disastrosa» del Paese, mentre in una nota del maggio 1943 giudica comunismo e nazismo «tutti e due materialisti, antireligiosi, totalitari, tirannici, crudeli, militaristi», e nel 1944 incoraggia l’arcivescovo di Milano, a provvedere di cappellani le forze partigiane, mentre dai documenti editi negli Actes du Saint Siège risultano le sue perplessità di fronte alla prospettiva di un «partito unico» dei cattolici italiani, e dalle carte dei servizi segreti Usa si apprende che, nel gennaio 1945, Tardini avrebbe rimproverato la Democrazia cristiana per aver favorito un governo senza azionisti e socialisti.
Da segnalare, comunque, le pagine su «La S. Sede e Roma, giugno 1940-giugno 1944», nelle quali Tardini sottolinea il «sincronismo» tra l’uscita dei nazisti e l’ingresso degli Alleati e la «commozione e l’entusiasmo indescrivibile del popolo romano in massa a Piazza S. Pietro la sera del 5 giugno», una grande consolazione per quelli che, come lui, erano «sacerdotiimpiegati».
Due notazioni finali. Quando, durante il non breve periodo della malattia di Pio XI, Tardini viene assediato dalla «piaga» dei giornalisti, esasperato annota: «All’interrogazione più spesso ripetuta ”È vero che è morto il Papa?”, …mi veniva voglia di rispondere, alla romana: “Annate a morì ammazzati voi!”. Ma mi frenavo». Ricorda anche che, nel luglio 1938, dopo aver chiesto a Tardini «Che c’è di nuovo?», Pio XI si era risposto mestamente: «Dico di nuovo, perché di bello non ci può essere proprio niente!».
Quando poi l’ambasciatore d’Italia, Pasquale Diana, sottoporrà a Tardini le nuove formule della preghiera non più per il re, ma per il presidente della Repubblica, da pronunciarsi nelle messe festive solenni, questi «stizzito» e scontento replicò: «Il latino per lo meno lasciatelo scrivere a noi!».
Cercò di negoziare un’intesa con la Spagna repubblicana. Durante la guerra civile era considerato un nemico dai franchisti