Corriere della Sera

Inflazione, blocco dei conti, truffe «Lo Stato ci ha ridotti tutti in miseria»

- DAL NOSTRO INVIATO L. Cr.

C’è un momento preciso che stravolge l’esistenza del 52enne Christian Francis e di tanti altri imprendito­ri libanesi come lui. «Accadde a metà mattina dello scorso 11 novembre. Da un minuto all’altro scoprii che le banche avevano chiuso gli sportelli e tutti i miei risparmi di un trentennio di lavoro non mi appartenev­ano più. Mi pensavo benestante e sicuro, ma in realtà ero diventato un povero diavolo alla mercé di un branco di ladroni alla guida dello Stato», racconta. Stato che perde i pezzi: ieri si sono dimessi la ministra dell’Informazio­ne e portavoce del governo Manal Abdel Samad e il responsabi­le dell’Ambiente Damianos Kattar.

Il trauma segna la svolta. La sessantina di istituti di credito libanesi rimasero chiusi per due settimane. Alla riapertura tutto era cambiato. Francis aveva perso in termini reali circa l’80 per cento del suo milione di dollari. Non poteva più ritirare i suoi soldi, vennero imposte delle piccole cifre mensili in valuta nazionale. La lira libanese si svalutò rapidament­e e il cambio passò da 1.500 lire per dollaro a quasi 10.000. «Sono proprietar­io di varie società. Una si occupa di turismo nautico e di attività sub. Avevo pagato un acconto di 20.000 dollari a una compagnia cinese perché mi fornisse una barca del valore di 60.000 dollari. Ma adesso non posso pagare all’estero, se non ritirando i dollari nell’equivalent­e in lire al cambio dell’anno scorso, che non corrispond­e affatto a quello reale odierno. Ho perso l’acconto e rinunciato all’ordine della barca», spiega.

In quello stesso periodo deve destreggia­rsi con la giungla di concetti e regole bizantine imposti dalla Banca centrale.

Quello più noto è il «Lollar», che di fatto è il vecchio dollaro americano «libanizzat­o» e congelato nei caveau statali: i libanesi non potranno più vedere i loro biglietton­i verdi, ma saranno costretti a ricevere delle banconote «tipo Monopoli», che valgono un ottavo di quelle originali. Lo svanire dei conti diventa nel gergo locale «il taglio di capelli».

E la totale arbitrarie­tà con cui le banche gestiscono i conti privati viene chiamata «capital control». Termini che rappresent­ano il tentativo di nascondere la realtà: in Libano è in atto la rapina sistematic­a della società civile. «Riad Salame era il nostro eroe. Oggi è considerat­o un bandito», dice Christian riferendos­i al 70enne governator­e della

Banca centrale. «Quando nel 2007 il sistema mondiale stava annaspando nella crisi, Salame era riuscito a garantirci tassi d’interesse sui risparmi sino al 20 per cento. Ci sembrava un miracolo, adesso sappiamo che era una truffa sul principio del sistema Ponzi, per cui lo Stato prendeva a prestito dollari dalle banche private con interessi troppo alti e appoggiand­osi solo sui risparmi della diaspora libanese nel mondo. Ma con il blocco del coronaviru­s e la crisi economica mondiale il bluff è venuto a galla». Pochi mesi fa era normale usare lire o dollari. Quell’epoca è un sogno lontano.

Tra le varie attività Christian vendeva uniformi e motori marini all’esercito. Un giro d’affari pari a 500.000 dollari annuali. Ma da gennaio l’esercito ha bloccato ogni spesa. «Presto non avremo più pezzi di ricambio per i macchinari importati. La bancarotta privata e dello Stato ci paralizzer­à completame­nte», si lamenta. Sua unica soddisfazi­one è stato comprarsi una Lamborghin­i da 80.000 dollari. Sono i paradossi del Libano sempre in bilico tra abisso e bella vita. Racconta: «Quando mi sono accorto che stavano bloccandom­i i conti e non potevo ritirare valuta pregiata ho comprato l’auto dai miei sogni con un versamento bancario interno. L’ho fatto all’ultimo minuto. Oggi sarebbe impossibil­e e ciò che resta è carta straccia».

Ieri hanno lasciato la portavoce del governo Manal Abdel Samad e il ministro Damianos Kattar

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