«Fermare invasori e divisioni religiose Solo così si riparte»
Parla Helou, uno dei nuovi leader della piazza
«Miriamo a rifondare la politica del nostro Paese. Vogliamo un Libano nuovo, finalmente libero dall’influenza dell’Iran e dalla minaccia delle armi in mano alla milizia sciita dell’Hezbollah alleata al regime di Teheran. Sono molti anni ormai che ci proviamo. Ma adesso siamo alla svolta. Le prossime elezioni con candidati assolutamente nuovi cambieranno radicalmente le cose». Khalil Helou ci racconta i sentimenti dei politici emergenti che vorrebbero costruire il Libano del futuro. Ex alto ufficiale dell’intelligence militare, attualmente docente di geo-politica all’università Saint Joseph di Beirut, a 64 anni è lui stesso tra i candidati di punta della parte cristiana che fa parte dell’«intifada», la sommossa volta a «scrollarsi di dosso» quella che viene definita dalle piazze «l’oppressione dell’occupazione straniera».
In che senso volete rifondare il Libano?
«Negli ultimi giorni stanno accadendo fatti cruciali. Stiamo mettendo in ginocchio i principi primi che hanno retto la politica di questo Paese dal 2005 e si fondavano sull’accordo tra l’attuale presidente cristiano Michel Aoun con l’Hezbollah, l’Iran e il regime siriano. Io da giovane ero un devoto ufficiale seguace dell’allora generale Aoun. Negli anni 80 era stato il grande eroe della resistenza antisiriana, sino alla sua cacciata sotto le bombe nel 1990 e l’esilio in Francia per 15 anni. Fu poi il suo plateale tradimento a renderci schiavi dell’Iran».
Il tradimento di Aoun?
«Certo, Aoun tornò in Libano nella primavera 2005, dopo l’omicidio dell’allora premier sunnita Rafiq Hariri. I militari siriani stavano andandosene con l’accusa di essere stati i mandanti assieme ad Hezbollah. Noi consideravamo Aoun come il leader della nostra riscossa. Alle elezioni il suo partito ottenne oltre 20 seggi dei 120 del Parlamento. Ma Aoun scelse repentinamente di allearsi con i suoi nemici, dividendo il fronte cristiano. Si pose agli ordini di Damasco e permise ad Hezbollah di stare al governo mantenendo le sue milizie armate. Da allora Hezbollah è diventato uno Stato nello Stato, una fonte di potere indipendente dal governo centrale e invece legata agli Ayatollah iraniani».
Non avete mai provato a disarmare Hezbollah?
«Ci provò nel 2013 l’ex presidente Michel Suleiman. Ma fallì. Nel 2016 Aoun divenne presidente e riprese la convivenza con Hezbollah, riuscendo a creare una grande coalizione assieme ai socialisti del druso Walid Jumblatt, ai sunniti legati al figlio di Rafiq Hariri, Saad, e a varie forze cristiane. Fu un compromesso disastroso, permetteva ai politici di dividersi la torta e ad Hezbollah di mantenere il monopolio della forza. Ciò ha provocato la crisi economica, la corruzione imperante, l’inefficienza e il permanere della presenza iraniana. Oggi finalmente rovesceremo la situazione». Chi sono i nuovi leader,
che come lei si presenteranno alle prossime elezioni?
«Volti della società civile, personalità note senza differenze tra sunniti, cristiani e sciiti, ma che hanno sempre evitato di cooperare con i nostri invasori».
Per esempio?
«Tra i sunniti penso a Nawaz Salam, ex ambasciatore libanese all’Onu. Oppure a Salah Salam, proprietario del quotidiano Al-Liwah, e al costituzionalista Hassan Rifai o al dentista Rami Finge, molto noto tra i giovani. Tra i cristiani si stanno mettendo in luce l’industriale Nemad Frem e il parlamentare Sami Gemayel, che ha 39 anni e guida il partito della Falange. Abbiamo anche un generale molto conosciuto, Marun Hitti».
Avete con voi anche sciiti?
«Ovvio e tanti. Tengono un profilo basso per non venire presi di mira da Hezbollah nella loro comunità. Ma abbiamo tante donne, giornalisti e docenti universitari sciiti pronti a schierarsi con noi. Siamo un movimento interconfessionale, lottiamo contro le divisioni religiose in politica».
Ma non temete una reazione armata da parte di Hezbollah e i suoi alleati?
«In questo momento è impossibile. Iran e Siria sono in ginocchio, piegati dalla crisi economica e soprattutto dalle lotte interne. Assad è debolissimo, se non ci fossero i russi a sostenerlo sarebbe immediatamente rovesciato. Noi libanesi dobbiamo cogliere l’occasione storica per tornare ad autodeterminarci».