«Ecco come descriveva i suoi uomini: diversi ma simili nei tradimenti»
Barberini è l’attore con cui ha recitato negli ultimi anni «Era una maga colorata, una regina dell’esistenza»
Il principe attore e la regina della scena. Urbano Barberini (di una delle più antiche casate aristocratiche che ha dato due Papi) e l’immensa Franca Valeri. La strana coppia. «Ho recitato con lei in sette commedie negli ultimi 22 anni. E due ruoli di sue opere li ha ritagliati su di me».
Quando vi siete conosciuti?
«Nel 1997, Peppino Patroni Griffi che era suo grande amico le disse di venirmi a vedere a teatro, facevo un travestito. In camerino, dandomi del lei, Franca mi disse che voleva lavorare con me e di trovare testo e produttore. Le diedi Mal di madre, il titolo non è venuto a caso, lui cerca una madre e lei un figlio… Se il teatro è una casa, tutto torna. È una commedia tra uno psicoanalista saccente e una paziente pazza. Non era difficile recitare con lei: non dava consigli, non guidava, faceva».
Che rapporto c’era tra voi?
«Semplice e complesso, le uniche discussioni erano quando macinavamo centinaia di chilometri nelle tournée e in auto non voleva sentire musica classica, lei la amava troppo per concepirla come sottofondo».
Aveva difficoltà a parlare: come comunicavate?
«Nel silenzio. Ma non c’era questo problema. Dopo che si operò all’anca ebbe un miglioramento, poi una sera a teatro a Trieste si bloccò per dolori atroci. La difficoltà della parola, che non era Alzheimer come qualcuno dice, nasceva anche da lì».
Le parlava degli attori e degli uomini della sua vita?
«Di Vittorio Caprioli e del direttore Maurizio Rinaldi, diceva: sono diversi ma uguali nei tradimenti. Era abbastanza possessiva e così sicura del suo talento che pensava, un’altra donna non può offrirti la mia genialità. Di Walter Chiari diceva che non la finiva mai coi suoi monologhi, di Alberto Sordi che era ligio al testo e non improvvisava, quando parlava di Visconti si trasfigurava, le si illuminava il volto».
Le sue battute folgoranti, i suoi lampi comici?
«Eravamo allo spettacolo di un noto attore. Domandai: ti è piaciuto? E lei: cosa? Un’altra volta un’attrice, considerata brava, si dava un gran da fare. Franca mi guardò, sentenziò: robusta. Non sprecava una parola».
Era anche capace di poesia, diceva che la grazia si posa dove vuole.
«Oppure che la nostalgia è una sorella che a una vecchia cocciuta come lei faceva da badante».
Era nata nel 1920, alla fine della prima Guerra Mondiale.
«Aveva una posizione politica forte contro il fascismo e le sue declinazioni, il padre, dirigente alla Breda, perse il posto per questioni razziali, dovette riparare in Svizzera e per un soffio non presero Franca. Diceva che le era difficile pensare alle signore di origini ebraiche benestanti del Nord sulle spiagge, coi loro cappelli e occhiali, mentre entravano nelle camere a gas».
Provi a descrivere Franca a una adolescente che non ne ha mai sentito parlare…
«Era una maga colorata, una regina dell’esistenza».
Genialità
Negli ultimi tempi non poteva più leggere…
«Una tortura, una crudeltà, vedeva molto poco. Le sue ultime giornate le passava seduta nella sua casa al Fleming, le mani giunte, accanto agli amici più intimi, io, Pino Strabioli, Orsetta De Rossi, la cantante Stefania Bonfadelli che aveva adottato».
Sognava di fare una regia alla Scala.
«Sì, verissimo. Non se ne lamentò mai, Franca non conosceva il rancore. Fino all’ultimo
Aveva un carattere possessivo ma era così sicura del suo talento che pensava: un’altra donna non potrà mai offrire la mia genialità
Maternità
Probabilmente le mancava la maternità, ma alla fine credo che riuscì a trovare una serie di figure sostitutive Diciamo che è stata creativa nelle sue «adozioni» teatrali
mantenne l’ottimismo, la positività. La sua luce».
Ma Franca sorrideva delle sue origini nobili?
«No, era un mondo che conosceva bene, e ne stigmatizzava la svagata crudeltà».
Vede eredi in giro?
«Di Franca ce n’è stata una. Dopo che smise di recitare, scriveva ancora libri. C’è una sua commedia incompiuta, Le mamme alte, dove lei predice al figlio adottivo, che avrei impersonato io, che avrei avuto un figlio a mia volta. Cosa che è avvenuta. Si chiama Maffeo, ha 2 anni e gli ha scritto una lettera dolcissima: Ricorda che sei stato aspettato, siamo stupiti a vederti così bello, così spiritoso, con le tue risate sempre opportune».
Parlava di maternità?
«In fondo ha trovato una serie di figure sostitutive, è stata creativa nelle sue “adozioni” teatrali».
Cosa le mancherà di lei?
«Il braccio che si appoggiava a me e mi sosteneva».