Da «cinecocomero» a «cinepanettone» Annata che vai, neologismo che trovi
Oggi nessuno parla più di «cinecocomeri»: uno di quei neologismi recenti che suonano già invecchiati. Neologismo d’autore, peraltro: autore centromeridionale, ovviamente, perché altrimenti sarebbe stato «cineanguria». D’autrice, in realtà, almeno stando a un articolo in rete del marzo 2007 in cui si annunciava l’inizio delle riprese del film Un’estate al mare. E si attribuiva la definizione all’attrice Nancy Brilli, «in coppia sul set con
Enrico Brignano, che ha proposto, da bravo esperto di frutta, la definizione “cinemelone” più precisa. Ad incalzarli c’è Enzo Salvi, che spera in un “cine-quattro stagioni: così lavoriamo sempre”». Il modello era quello del «cinepanettone», film comico pensato per andare in sala durante le feste natalizie. La parola, in questo caso, sembra essere stata usata già dieci anni prima, in un articolo del giornalista Franco Montini. Al regista Alessandro D’Alatri viene attribuita invece la paternità di «cine-pandoro» (a proposito del suo
Commediasexi, 2006). Nel 2011, parlando di un suo film in uscita a ottobre, Massimo Boldi diceva che sarebbe stato un «cinetorrone»; ma la battuta l’aveva già fatta tre anni prima Dario Vergassola sul film di Gabriele Salvatores Come dio
comanda (tratto dal romanzo premio Strega di Niccolò Ammaniti). Secondo il prevedibile meccanismo che i linguisti chiamano irradiazione neologica, al «cinecocomero» avevano fatto rapidamente seguito il «cinegelato» (attestato dal febbraio 2008) e il «cineombrellone» (dall’agosto 2008). Qualcuno, per un film dei fratelli Vanzina in uscita a Pasqua del 2012, aveva tentato anche un «cinecolomba»; ma solo perché gli stessi Vanzina in un’intervista avevano messo già le mani avanti: «Con la Pasqua non c’entra niente, non lo chiamate “cineuovo”»
Qualcuno, per un film dei fratelli Vanzina in uscita a Pasqua del 2012, aveva tentato anche con «cinecolomba»