Alla filippina lo status di rifugiata: «Il suo Paese non tutela le donne»
Milano, il tribunale concede la protezione umanitaria: lì la violenza di genere è impunita e non c’è il divorzio
Chi può essere considerato un «rifugiato» da non rimpatriare per i rischi che correrebbe nel proprio Paese? Anche una persona «per appartenenza al gruppo sociale delle donne vittime di violenza di genere». La sezione immigrazione del Tribunale di Milano concede la «protezione umanitaria» a una donna filippina, assistita dall’avvocato Sabina D’Alessandro, che in caso di rimpatrio esprimeva la paura che il marito tornasse a maltrattarla, a strumentalizzare il figlio minore per farsi mandare soldi dalla coniuge, e a impedirle (insieme alle rispettive famiglie) di lasciarlo. Status di «rifugiata» concesso anche perché per il Tribunale la violenza nei confronti delle donne è «molto diffusa nelle Filippine anche a causa della mancanza di volontà e/o capacità, da parte dello Stato, di tutelare le donne ed i minori vittime di tale reato».
I giudici muovono dalle linee guida dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, che nel contesto della Convenzione di Ginevra del 1951 additano «la necessità di interpretare la disciplina dell’asilo in un’ottica di genere, ovvero di una categoria socialmente costruita e, dunque, non sovrapponibile alla differenza sessuale e biologica “uomo-donna”».
Significa che «donne e persone Lgbti possono essere considerate, in determinate condizioni, come “un particolare gruppo sociale” che può essere oggetto di persecuzioni ai sensi della Convenzione di Ginevra». I principi di queste linee guida Unhcr poi «assumono un valore vincolante per quegli Stati, come l’Italia nel 2013, che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul del 2011 sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne».
E qui è interessante notare come la relatrice Elena Masetti Zannini e i colleghi Pietro Caccialanza e Olindo Canali si addentrino nella legislazione e nelle prassi filippine per rilevare «la diffusione della violenza domestica nelle Filippine», dove, «nonostante condotte quali la violenza sessuale siano sanzionate penalmente, gli abusi domestici sono frequenti, ed altrettanto frequente è l’impunità dei loro autori. Alcune realtà che lavorano a sostegno dei diritti delle donne nelle Filippine hanno riferito che le donne che cercano protezione presso la famiglia allargata, o le single con bambini, potrebbero essere addirittura stigmatizzate e maltrattate per aver lasciato il marito». Non esiste il divorzio, esiste solo la separazione legale in presenza di specifiche circostanze tra cui la violenza contro il partner o il figlio: ma l’iter può essere neutralizzato dal «perdono» o dal «consenso» che le autorità ricavano da asseriti fatti concludenti quali ad esempio la convivenza, che per il Tribunale «ben potrebbe invece trovare fondamento anche nel timore di ritorsioni da parte del coniuge».
È uno di quei «cortocircuito nella tutela dei diritti» dai quali il Tribunale trae la «mancanza di volontà e/o capacità, da parte dello Stato, di tutelare le donne vittime di tale reato» nelle Filippine.