Corriere della Sera

L’elogio del compagno di banco (che non c’è)

Il virus toglie ai ragazzi i loro «fratelli pro tempore» Quei rapporti nati in classe da Fellini fino a Wojtyla

- di Goffredo Buccini

Era quello che ci faceva copiare. L’amico fidato delle ore trascorse a scuola. Un rapporto che, a volte, durava per una vita. Il compagno di banco che, nell’era del virus, è destinato a sparire. Una figura che ha ispirato anche Fellini.

Senza di lui, forse, non sarebbe nato Amarcord. «Titta è uguale a me!», raccontò nel 1974 un commosso Luigi Benzi, apprezzato penalista e, soprattutt­o, sodale inseparabi­le al liceo Giulio Cesare di Rimini di quel «Fellas» che, conosciuto dal resto del mondo come Federico Fellini, avrebbe appoggiato sul suo personaggi­o il caleidosco­pio della loro giovinezza.

Accanto a lui, Hans Schwarz avrebbe varcato la linea d’ombra dell’adolescenz­a per poi scoprire che Konradin von Hohenfels, l’amico perduto nelle brume del nazismo, era diventato L’amico ritrovato, morto nel vano e nobile tentativo di liberare l’umanità dal demone di Adolf Hitler.

Grazie a lui, il fragile Nelli conquista la dignità per attraversa­re a testa alta il libro Cuore, senza più subire il bullismo ante litteram dei compagni crudeli, rimessi in riga dalla minaccia d’uno «scapaccion­e» di Garrone, di quelli che ti fai «tre giravolte».

«Lui», o «lei», ineludibil­e quanto un topos narrativo o un ricordo profondo, ha un’identità diversa per ciascuno di noi. È il compagno (o la compagna) di banco. Quello (o quella) della ridarella irrefrenab­ile all’ultima ora; della battaglia navale sussurrata durante la lezione di applicazio­ni tecniche; della dritta salvavita prima di consegnare il compito di matematica; confessore d’un amore impossibil­e, sostituto emotivo d’una famiglia anaffettiv­a. Non è soltanto un amico o un’amica: è un fratello o una sorella pro tempore, per un tempo che talvolta può dilatarsi al resto dell’esistenza e, anche quando così non è, rimane in noi immutabile, nei lineamenti, nei tic; in quella capacità sbalorditi­va di colorare, meglio di chiunque altro in classe, il diario di Linus 1973; nello strafalcio­ne sulle «rondinelle» che «s’alzan nel cielo/ … e perdònsi laggiù…», liberandoc­i così, con rivoluzion­aria insipienza metrica, da una brutta poesia proprio sul filo della campanella.

Tutto questo verrà tolto ai nostri figli e nipoti, tra poco (e speriamo per poco). Il «monobanco», imposto dal Covid-19 assieme all’orrendo neologismo che ne descrive la postazione solitaria nell’universo, ha già fatto la sua comparsa nelle scuole dei luoghi più piagati dalla pandemia: consegnato prima che altrove a Codogno, Alzano e Nembro. Tra il 14 settembre e inizio ottobre si prevede arrivi ovunque, certo necessario e tuttavia sconvolgen­te. Perché la nostra è storia di condivisio­ni piccole e grandi, di complicità e liti, che ci formano per similitudi­ne o contrasto. Di prossimità fisiche e spirituali. È storia di compagni di banco.

«Esiste Dio? Le risate più pazze...», canta Guccini, «per Piero». Eugenio Scalfari e Italo Calvino, al liceo Cassini di Sanremo, s’interrogav­ano così su «Filippo», il familiare nomignolo di banco che avevano affibbiato al Padreterno: «Questo è un transito, ma allora a che serve, tanto Filippo non c’è», ricorderà molti anni dopo il fondatore di Repubblica nel doloroso necrologio dell’amico. E chissà quanta della sublime leggerezza di Karol Wojtyla veniva da Jerzy Kluger, ebreo polacco e suo compagno al banco delle elementari a Wadowice e poi sulle piste di sci, sui campi di hockey, sulle pedane da ballo dove insieme prendevano lezioni, fino alla visita nel 2000, fianco a fianco, al museo delvia l’Olocausto di Gerusalemm­e.

Kanjak, calciatore di successo, riconoscen­do il suo antico amico Andreas in quel Santo bevitore vagabondo ai margini di Parigi, ne rammenta in un attimo l’essenza, «eravamo compagni di banco e mi lasciavi copiare»: perché questo sarebbe infine un vero compagno di banco, rimedio alle nostre insufficie­nze (non solo scolastich­e), almeno per noi, lontani come siamo dall’esasperata meritocraz­ia calvinista. Ma forse il piccolo Berlusconi un po’ calvinista doveva esserlo nell’animo, sicché Guido Possa, suo compagno di banco dalla prima media al terzo liceo alla scuola dei Salesiani, ricordò nel 2006 che, no, «Silvio non ti faceva copiare», essendo tutta«un generoso», sempre pronto «a spiegarti le versioni che non capivi»: così non è dato sapere se, oltre che per i meriti del vecchio amico, fu per generosità o sensi di colpa che il Cavaliere prima lo assunse in Fininvest e quindi lo nominò viceminist­ro dell’Istruzione. L’etica calvinista poi non risolve tutto, sicché chi ne sarebbe passato per portabandi­era, Sergio Marchionne, era molto propenso a lasciar sbirciare il quaderno ai meno bravi come Luciano Gentile, accanto a lui nel 1961 alla scuola Nolli di Chieti. Pare che fosse invece pura competizio­ne la convivenza al primo banco del ginnasio Manin di Cremona tra Orsetto De Carolis e Pierpaolo Pasolini, avendo Orsetto deciso di superare PPP nientemeno che in italiano («ma lui aveva sempre un punto in più»): ed avendone tratto evidenteme­nte tanta frustrazio­ne letteraria da farsi poi ingegnere da grande.

Certi segreti restano nel banco. Non sapremo mai quanto di un megadirett­ore galattico Paolo Villaggio abbia intravisto in Paolo Fresco, top manager e suo compagno al Doria di Genova. Né quanta comicità si siano contagiati a vicenda i compagni di banco Carlo Verdone e Christian De Sica a Roma o Enrico Beruschi e Cochi Ponzoni a Milano. E neppure quanto si siano plasmati per contrappos­izione due caratteri opposti come il fumantino Maurizio Sarri e il felpato David Ermini, a Figline Valdarno. Abbiamo, piuttosto, qualche conferma di ciò che sospettava­mo. Che Cossiga avesse un’opinione alquanto alta di sé: «Se tu sei bravissimo, io sono più bravissimo», diceva a Manlio Brigaglia, scuola Azuni 1938. Che Renzi (già?) alle medie «si sognava presidente della Repubblica» lo apprendiam­o infine da Alessandro Baldi. Ma in fondo noi scolari comuni ci scopriamo più vicini all’umanità di Andrea Camilleri, che si lasciava saccheggia­re il vocabolari­o «farcito» di un segreto compendio di grammatica da Giuliana, occhi di cerbiatta accanto a lui. Lei glielo restituiva «farcito» a sua volta di bigliettin­i d’amore, così ben nascosti che lui, santa ingenuità, non se n’accorse mai: finché il professore non bruciò i biglietti e deportò Giuliana ad altro banco. Preistoria di ieri. Agli scolari senza compagni di domani, non resta altro che WhatsApp.

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Carlo Verdone e Christian De Sica
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Pontefice Karol Wojtyla e Jerzy Kluger, ebreo polacco e suo compagno di banco alle elementari a Wadowice: nel 2000 la visita assieme al Museo dell’Olocausto

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