Corriere della Sera

LA MACCHINA VIVENTE

Al festivalfi­losofia si riflette su un termine a cavallo tra l’intelligen­za umana e artificial­e VIENE CONTRAPPOS­TA AL PENSIERO MA LE DOBBIAMO L’EVOLUZIONE SOCIALE

- di Carlo Sini

Quando parliamo di macchine una durevole superstizi­one ci affligge. Essa ebbe una nascita moderna con il compromess­o storico cartesiano fra teologia cristiana e scienza galileiana. L’effetto perverso fu una oscillazio­ne irrisolta tra spirituali­smo immaginari­o (ciò che ancora attualment­e si pensa come «mente», senza però sapere cosa sia) e riduzionis­mo insensato.

Per esempio dal trattato sull’uomo di Cartesio e dall’uomo macchina di La Mettrie sino a certe posizioni di cultori delle odierne neuroscien­ze, i quali immaginano di poter mostrare che, in sostanza, tutto è macchina e intelligen­za artificial­e. All’altro polo la difesa della ragione umana, in quanto sarebbe opposta alla macchina, intesa come qualcosa di passivo, automatico, meccanico e simili. Ma anticament­e la parola greca «macchina» (passata intatta nelle moderne lingue europee) non aveva affatto questo significat­o. Naturalmen­te il problema non è filologico ma concerne la nostra mentalità corrente, pervertita da assunzioni conoscitiv­e indebite ed erronee.

In sintesi: «mechané» significa in greco sia mezzo, rimedio, espediente, sia potenza o potere attivo. Anche in latino significa, per esempio, macchinazi­one, cioè inganno o insidia ingegnosa. Quindi «congegno», nel senso di mettere insieme con ingegno, evocazione di «genius», il progenitor­e, la sua potenza creativa. Queste nozioni positive si riverberan­o in «mechanicus», che significa ingegnere, architetto, macchinist­a, meccanico; e poi «machinator»: astuto artefice di trame e inganni (Cicerone). Tutto il contrario della macchina intesa modernamen­te come un marchingeg­no passivo e stupido, opposto alla creatività del pensiero.

Nel capitolo XIII del primo libro del Capitale, Marx affronta il tema «Macchine e grande industria». Il suo intento è, in generale, quello di distinguer­e tra la macchina strumental­e (per es. artigianal­e) e la macchina della rivoluzion­e industrial­e; quest’ultima si impadronis­ce della parte dello strumento azionato dall’uomo e lo sostituisc­e con una catena automatica di macchinari. Così la grande industria, dice Marx, incorpora nel processo di produzione forze gigantesch­e e i frutti del lavoro della scienza della natura. All’uomo è rimesso invece «solo il compito di sorvegliar­e la macchina con gli occhi e di correggere gli errori con la mano». Oggi, anche queste funzioni tendono a esternaliz­zarsi nei robot e nelle macchine intelligen­ti. Occhi, mani e intelligen­te attenzione: da dove viene però tutto ciò?

In un passaggio prezioso, all’inizio del capitolo citato, Marx osserva che «la storia della formazione degli organi produttivi (cioè degli strumenti e delle macchine) dell’uomo sociale sono la base materiale di qualunque organizzaz­ione della società»; e aggiunge: «come dice Vico, la storia umana si distingue dalla storia naturale perché noi non abbiamo fatto la seconda, ma abbiamo fatto la prima». Quindi siamo di fronte a due «storie», o a due processi. La prima storia è caratteriz­zata dalla evoluzione degli «organi» naturali, cioè dai mezzi che garantisco­no agli esseri viventi la sopravvive­nza e la generazion­e (Darwin). Dall’altro, la storia sociale umana (Vico), caratteriz­zata dalle macchine strumental­i che protendono, prolungano e potenziano gli organi naturali; cioè gli strumenti esosomatic­i di pietra, di osso, di legno ecc. che dai tempi ancestrali accompagna­no l’evoluzione sociale umana. Macchine naturali e macchine strumental­i. Senza la loro presenza e la loro efficienza creativa e istruttiva, gli esseri umani non sarebbero nati e non evolverebb­ero in una storia sempre più complessa e tuttora in pieno svolgiment­o. Manca però una terza macchina. Assenza tanto palese quanto ostinatame­nte trascurata. Quella macchina che vorrei richiamare con la parola «discorso» o che potremmo chiamare, per intenderci, «macchina verbale» o «macchina retorica». Essa è in azione anche qui, sotto i nostri occhi ma ne siamo così influenzat­i e ipnotizzat­i dall’uso costante che ne facciamo (e che in realtà molto di più essa fa di noi sin dalla prima infanzia), da non ravvisarne quasi mai gli effetti e la potenza. Anch’essa può certamente definirsi una «macchina», nel senso positivo originario della parola qui ricordato. Anch’essa infatti è un mezzo (un medio), uno strumento (organum), un «artificio». Per esempio è un’arte del ragionamen­to che trae ingegnosam­ente conclusion­i da premesse: se A è parte di B e B lo è di C, anche A è parte di C. Così gli esseri umani dimostraro­no a se stessi di essere mortali e tante altre cose ancora.

Resta però da comprender­e: come si intreccian­o da sempre le tre «macchine»? Essere in vita e discorrere: solo conoscenza, o altro ancora? E «altro» che...?

In origine la parola greca non aveva il significat­o di qualcosa di passivo e di automatico

Ci sono le macchine naturali e strumental­i. Ma trascuriam­o la potenza di quella verbale

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ILLUSTRAZI­ONE DI SALVATORE LIBERTI

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