LA MACCHINA VIVENTE
Al festivalfilosofia si riflette su un termine a cavallo tra l’intelligenza umana e artificiale VIENE CONTRAPPOSTA AL PENSIERO MA LE DOBBIAMO L’EVOLUZIONE SOCIALE
Quando parliamo di macchine una durevole superstizione ci affligge. Essa ebbe una nascita moderna con il compromesso storico cartesiano fra teologia cristiana e scienza galileiana. L’effetto perverso fu una oscillazione irrisolta tra spiritualismo immaginario (ciò che ancora attualmente si pensa come «mente», senza però sapere cosa sia) e riduzionismo insensato.
Per esempio dal trattato sull’uomo di Cartesio e dall’uomo macchina di La Mettrie sino a certe posizioni di cultori delle odierne neuroscienze, i quali immaginano di poter mostrare che, in sostanza, tutto è macchina e intelligenza artificiale. All’altro polo la difesa della ragione umana, in quanto sarebbe opposta alla macchina, intesa come qualcosa di passivo, automatico, meccanico e simili. Ma anticamente la parola greca «macchina» (passata intatta nelle moderne lingue europee) non aveva affatto questo significato. Naturalmente il problema non è filologico ma concerne la nostra mentalità corrente, pervertita da assunzioni conoscitive indebite ed erronee.
In sintesi: «mechané» significa in greco sia mezzo, rimedio, espediente, sia potenza o potere attivo. Anche in latino significa, per esempio, macchinazione, cioè inganno o insidia ingegnosa. Quindi «congegno», nel senso di mettere insieme con ingegno, evocazione di «genius», il progenitore, la sua potenza creativa. Queste nozioni positive si riverberano in «mechanicus», che significa ingegnere, architetto, macchinista, meccanico; e poi «machinator»: astuto artefice di trame e inganni (Cicerone). Tutto il contrario della macchina intesa modernamente come un marchingegno passivo e stupido, opposto alla creatività del pensiero.
Nel capitolo XIII del primo libro del Capitale, Marx affronta il tema «Macchine e grande industria». Il suo intento è, in generale, quello di distinguere tra la macchina strumentale (per es. artigianale) e la macchina della rivoluzione industriale; quest’ultima si impadronisce della parte dello strumento azionato dall’uomo e lo sostituisce con una catena automatica di macchinari. Così la grande industria, dice Marx, incorpora nel processo di produzione forze gigantesche e i frutti del lavoro della scienza della natura. All’uomo è rimesso invece «solo il compito di sorvegliare la macchina con gli occhi e di correggere gli errori con la mano». Oggi, anche queste funzioni tendono a esternalizzarsi nei robot e nelle macchine intelligenti. Occhi, mani e intelligente attenzione: da dove viene però tutto ciò?
In un passaggio prezioso, all’inizio del capitolo citato, Marx osserva che «la storia della formazione degli organi produttivi (cioè degli strumenti e delle macchine) dell’uomo sociale sono la base materiale di qualunque organizzazione della società»; e aggiunge: «come dice Vico, la storia umana si distingue dalla storia naturale perché noi non abbiamo fatto la seconda, ma abbiamo fatto la prima». Quindi siamo di fronte a due «storie», o a due processi. La prima storia è caratterizzata dalla evoluzione degli «organi» naturali, cioè dai mezzi che garantiscono agli esseri viventi la sopravvivenza e la generazione (Darwin). Dall’altro, la storia sociale umana (Vico), caratterizzata dalle macchine strumentali che protendono, prolungano e potenziano gli organi naturali; cioè gli strumenti esosomatici di pietra, di osso, di legno ecc. che dai tempi ancestrali accompagnano l’evoluzione sociale umana. Macchine naturali e macchine strumentali. Senza la loro presenza e la loro efficienza creativa e istruttiva, gli esseri umani non sarebbero nati e non evolverebbero in una storia sempre più complessa e tuttora in pieno svolgimento. Manca però una terza macchina. Assenza tanto palese quanto ostinatamente trascurata. Quella macchina che vorrei richiamare con la parola «discorso» o che potremmo chiamare, per intenderci, «macchina verbale» o «macchina retorica». Essa è in azione anche qui, sotto i nostri occhi ma ne siamo così influenzati e ipnotizzati dall’uso costante che ne facciamo (e che in realtà molto di più essa fa di noi sin dalla prima infanzia), da non ravvisarne quasi mai gli effetti e la potenza. Anch’essa può certamente definirsi una «macchina», nel senso positivo originario della parola qui ricordato. Anch’essa infatti è un mezzo (un medio), uno strumento (organum), un «artificio». Per esempio è un’arte del ragionamento che trae ingegnosamente conclusioni da premesse: se A è parte di B e B lo è di C, anche A è parte di C. Così gli esseri umani dimostrarono a se stessi di essere mortali e tante altre cose ancora.
Resta però da comprendere: come si intrecciano da sempre le tre «macchine»? Essere in vita e discorrere: solo conoscenza, o altro ancora? E «altro» che...?
In origine la parola greca non aveva il significato di qualcosa di passivo e di automatico
Ci sono le macchine naturali e strumentali. Ma trascuriamo la potenza di quella verbale