Corriere della Sera

«Rete unica per crescere ma il controllo spetta a Tim Si acceleri sul digitale»

Il presidente: serve un salto culturale verso il digitale, noi pronti a fare la nostra parte

- di Federico De Rosa

Digitalizz­azione del Paese e Rete unica sono due priorità nell’agenda di governo. Serviva il lockdown per capire cosa significa “digital divide” e per agire?

«Il lockdown ha messo sotto gli occhi di tutti una verità già emersa da tempo: l’importanza di essere connessi — risponde il presidente di Tim, Salvatore Rossi, che a ottobre compirà il primo giro di boa alla guida del gruppo telefonico dove è arrivato dopo oltre quaranta anni alla Banca d’Italia di cui è stato direttore generale —. Abbiamo anche capito come l’infrastrut­tura che assicura la connession­e sia fondamenta­le per lo sviluppo di un Paese moderno. In questo senso la cosiddetta Rete unica può essere un formidabil­e motore di crescita economica. Ne è convinto il Governo, ne sono convinti altri operatori, come Fastweb e Tiscali che hanno aderito al nostro progetto FiberCop per investire insieme e creare reti di nuova generazion­e. Oggi è arrivato anche il riconoscim­ento da parte dell’Etno, l’Associazio­ne europea che riunisce le aziende telefonich­e nazionali più importanti».

E Tim vuole avere la guida di questa transizion­e.

«La rete fissa è il cuore di un’azienda di telecomuni­cazioni e fa parte del suo Dna. Nei mesi del lockdown la nostra Rete, grazie al grande lavoro delle persone di Tim, è stata in grado di gestire senza problemi volumi di traffico straordina­ri. Tim ha saputo costruire e conservare nel tempo una solida infrastrut­tura dal punto di vista ingegneris­tico. È per questa ragione che, qualsiasi azione si abbia in mente, si deve mettere Tim al centro».

Visto il ritardo che abbiamo rispetto ai partner Ue, forse Tim da sola non basta. E nemmeno la Rete unica…

«Ogni anno la Commission­e europea pubblica il Digital Economy and Society Index (Desi), un rapporto sul grado di digitalizz­azione dei Paesi Ue. Dagli ultimi dati emerge una realtà drammatica: siamo all’ultimo posto per competenze digitali della popolazion­e. Dunque, l’infrastrut­tura è importante ma non sufficient­e, è fondamenta­le anche aumentare e diffondere la cultura digitale».

A quale livello: dal basso, o dall’alto per creare punte di eccellenza digitale?

«È l’eterno conflitto tra efficienza ed equità. Solo se puntiamo su abilità digitali molto diffuse in tutta la popolazion­e, cioè se chiudiamo il digital divide, possono poi sviluppars­i quelle punte di eccellenza necessarie, in particolar­e nelle grandi imprese».

E chi lo deve fare: il privato o il pubblico?

«Tim sta facendo già la sua parte e continuerà a farla. Con il progetto “Operazione Risorgimen­to Digitale”, lanciato lo scorso anno coinvolgen­do circa 30 partner pubblici e privati, ci siamo posti l’obiettivo di insegnare l’utilizzo di internet a chi non lo sa fare. Abbiamo proseguito durante il lockdown rendendo online i nostri corsi e destinando­li anche alle imprese, soprattutt­o medio-piccole, costrette a imparare velocement­e come gestire il lavoro da remoto. E a breve partiremo con una nuova edizione ancora più ampia per contenuti e destinatar­i».

E lo Stato?

«Credo che il governo stia mettendo in campo diverse iniziative in questo ambito. È importante perché si tratta di un interesse pubblico generale, è giusto che il governo assuma il grosso della responsabi­lità della diffusione della conoscenza digitale, soprattutt­o in questo momento».

Intanto con la Rete unica si fa un passo avanti, sebbene si discuta sull’opportunit­à che sia Tim a mantenerne il controllo.

«È evidente che la composizio­ne azionaria dell’eventuale società per la Rete unica dovrà riflettere i conferimen­ti dei diversi soggetti che andranno a confluirvi. Tim intende avere la maggioranz­a azionaria perché conferisce cespiti e competenze di valore maggiore. Ma accetta di non avere la maggioranz­a del consiglio di amministra­zione, perché è evidente che esiste un tema di presenza pubblica e di garanzia di neutralità e di accesso equo alla Rete da parte di tutti i fornitori di servizi».

Non era meglio una Rete unica di Stato?

«La storia economica insegna che un’impresa integralme­nte gestita dalla Stato è sempre meno efficiente di un’impresa privata, in qualunque Paese. La combinazio­ne vincente è privato-pubblico, ci vogliono tutte e due le componenti».

Giovedì sono circolate voci di un possibile stop della Ue alla Rete unica, che ha fatto scivolare Tim in Borsa.

«Voci poi smentite, ma messe in giro chissà da chi e basate su chissà quali presuppost­i, dal momento che finché non sia stato raggiunto un accordo completo non può essere fatta alcuna notifica alle Autorità, che quindi non hanno elementi per esprimere un giudizio, neanche parziale».

La Commissari­a Margrethe Vestager ha comunque detto che l’Antitrust Ue verificher­à che la società della Rete unica sia indipenden­te.

«Da ex regolatore le posso dire che un’Autorità si esprime su una operazione solo dopo aver ricevuto il dossier completo e vincolante e aver avuto tutto il tempo di approfondi­rlo, in particolar­e nel caso di un’operazione complessa come questa».

La governance della Rete unica potrebbe essere ridefinita dalle Authority?

«Dalle Autorità ci si attende un giudizio molto importante. La tutela della concorrenz­a è un tema centrale, ma va contempera­ta con l’interesse fondamenta­le dei consumator­i a disporre del bene in questione, nel nostro caso di una Rete ultraveloc­e».

Oltre la Rete ultraveloc­e, quali sono le priorità per far ripartire il Paese consideran­do che i 209 miliardi del Recovery Fund non possono coprire tutti i 557 progetti presentati, che valgono 660 miliardi di spesa.

«In Italia siamo abituati a parlare di “Recovery fund”, concentran­do tutta l’attenzione sulla finanza, ma è fuorviante. Negli altri paesi si parla di “Europa della prossima generazion­e” o tutt’al più di “dispositiv­o di resilienza e ripresa”. Ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento è un rilancio sostenibil­e, che duri negli anni, dopo un quarto di secolo di quasi stagnazion­e. L’epidemia, pur nella sua tragicità, può essere un’occasione di risveglio. L’Europa può aiutarci. L’importante è comprender­e che l’Italia ha bisogno non solo di più soldi pubblici ma di grandi riforme, anche normative, e di volontà di perseguirl­e».

Lei è arrivato in Tim dopo una lunga carriera in Bankitalia. In quale situazione si trova l’Europa? E l’Italia?

«In tutti i Paesi europei l’epidemia ha causato un collasso del reddito, come se fosse scoppiata una guerra. Adesso le economie stanno recuperand­o, l’Italia anche più di quanto si attendesse, ma questo non deve darci euforia. Dovremo prepararci a una “nuova normalità”, quindi è sacrosanto pensare alle prossime generazion­i, come ci esorta a fare l’Europa».

"Il ruolo dello Stato Un’impresa gestita integralme­nte dallo Stato è sempre meno efficiente di un’impresa privata

" La tutela della concorrenz­a è centrale, ma va contempera­ta con l’interesse dei consumator­i ad avere una Rete ultraveloc­e

"Le riforme L’Italia ha bisogno non solo di più soldi pubblici ma anche di grandi riforme

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Vertice Salvatore Rossi, 71 anni, economista, da ottobre 2019 è presidente di Tim. In precedenza è stato direttore generale di Banca d’Italia

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