«Rete unica per crescere ma il controllo spetta a Tim Si acceleri sul digitale»
Il presidente: serve un salto culturale verso il digitale, noi pronti a fare la nostra parte
Digitalizzazione del Paese e Rete unica sono due priorità nell’agenda di governo. Serviva il lockdown per capire cosa significa “digital divide” e per agire?
«Il lockdown ha messo sotto gli occhi di tutti una verità già emersa da tempo: l’importanza di essere connessi — risponde il presidente di Tim, Salvatore Rossi, che a ottobre compirà il primo giro di boa alla guida del gruppo telefonico dove è arrivato dopo oltre quaranta anni alla Banca d’Italia di cui è stato direttore generale —. Abbiamo anche capito come l’infrastruttura che assicura la connessione sia fondamentale per lo sviluppo di un Paese moderno. In questo senso la cosiddetta Rete unica può essere un formidabile motore di crescita economica. Ne è convinto il Governo, ne sono convinti altri operatori, come Fastweb e Tiscali che hanno aderito al nostro progetto FiberCop per investire insieme e creare reti di nuova generazione. Oggi è arrivato anche il riconoscimento da parte dell’Etno, l’Associazione europea che riunisce le aziende telefoniche nazionali più importanti».
E Tim vuole avere la guida di questa transizione.
«La rete fissa è il cuore di un’azienda di telecomunicazioni e fa parte del suo Dna. Nei mesi del lockdown la nostra Rete, grazie al grande lavoro delle persone di Tim, è stata in grado di gestire senza problemi volumi di traffico straordinari. Tim ha saputo costruire e conservare nel tempo una solida infrastruttura dal punto di vista ingegneristico. È per questa ragione che, qualsiasi azione si abbia in mente, si deve mettere Tim al centro».
Visto il ritardo che abbiamo rispetto ai partner Ue, forse Tim da sola non basta. E nemmeno la Rete unica…
«Ogni anno la Commissione europea pubblica il Digital Economy and Society Index (Desi), un rapporto sul grado di digitalizzazione dei Paesi Ue. Dagli ultimi dati emerge una realtà drammatica: siamo all’ultimo posto per competenze digitali della popolazione. Dunque, l’infrastruttura è importante ma non sufficiente, è fondamentale anche aumentare e diffondere la cultura digitale».
A quale livello: dal basso, o dall’alto per creare punte di eccellenza digitale?
«È l’eterno conflitto tra efficienza ed equità. Solo se puntiamo su abilità digitali molto diffuse in tutta la popolazione, cioè se chiudiamo il digital divide, possono poi svilupparsi quelle punte di eccellenza necessarie, in particolare nelle grandi imprese».
E chi lo deve fare: il privato o il pubblico?
«Tim sta facendo già la sua parte e continuerà a farla. Con il progetto “Operazione Risorgimento Digitale”, lanciato lo scorso anno coinvolgendo circa 30 partner pubblici e privati, ci siamo posti l’obiettivo di insegnare l’utilizzo di internet a chi non lo sa fare. Abbiamo proseguito durante il lockdown rendendo online i nostri corsi e destinandoli anche alle imprese, soprattutto medio-piccole, costrette a imparare velocemente come gestire il lavoro da remoto. E a breve partiremo con una nuova edizione ancora più ampia per contenuti e destinatari».
E lo Stato?
«Credo che il governo stia mettendo in campo diverse iniziative in questo ambito. È importante perché si tratta di un interesse pubblico generale, è giusto che il governo assuma il grosso della responsabilità della diffusione della conoscenza digitale, soprattutto in questo momento».
Intanto con la Rete unica si fa un passo avanti, sebbene si discuta sull’opportunità che sia Tim a mantenerne il controllo.
«È evidente che la composizione azionaria dell’eventuale società per la Rete unica dovrà riflettere i conferimenti dei diversi soggetti che andranno a confluirvi. Tim intende avere la maggioranza azionaria perché conferisce cespiti e competenze di valore maggiore. Ma accetta di non avere la maggioranza del consiglio di amministrazione, perché è evidente che esiste un tema di presenza pubblica e di garanzia di neutralità e di accesso equo alla Rete da parte di tutti i fornitori di servizi».
Non era meglio una Rete unica di Stato?
«La storia economica insegna che un’impresa integralmente gestita dalla Stato è sempre meno efficiente di un’impresa privata, in qualunque Paese. La combinazione vincente è privato-pubblico, ci vogliono tutte e due le componenti».
Giovedì sono circolate voci di un possibile stop della Ue alla Rete unica, che ha fatto scivolare Tim in Borsa.
«Voci poi smentite, ma messe in giro chissà da chi e basate su chissà quali presupposti, dal momento che finché non sia stato raggiunto un accordo completo non può essere fatta alcuna notifica alle Autorità, che quindi non hanno elementi per esprimere un giudizio, neanche parziale».
La Commissaria Margrethe Vestager ha comunque detto che l’Antitrust Ue verificherà che la società della Rete unica sia indipendente.
«Da ex regolatore le posso dire che un’Autorità si esprime su una operazione solo dopo aver ricevuto il dossier completo e vincolante e aver avuto tutto il tempo di approfondirlo, in particolare nel caso di un’operazione complessa come questa».
La governance della Rete unica potrebbe essere ridefinita dalle Authority?
«Dalle Autorità ci si attende un giudizio molto importante. La tutela della concorrenza è un tema centrale, ma va contemperata con l’interesse fondamentale dei consumatori a disporre del bene in questione, nel nostro caso di una Rete ultraveloce».
Oltre la Rete ultraveloce, quali sono le priorità per far ripartire il Paese considerando che i 209 miliardi del Recovery Fund non possono coprire tutti i 557 progetti presentati, che valgono 660 miliardi di spesa.
«In Italia siamo abituati a parlare di “Recovery fund”, concentrando tutta l’attenzione sulla finanza, ma è fuorviante. Negli altri paesi si parla di “Europa della prossima generazione” o tutt’al più di “dispositivo di resilienza e ripresa”. Ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento è un rilancio sostenibile, che duri negli anni, dopo un quarto di secolo di quasi stagnazione. L’epidemia, pur nella sua tragicità, può essere un’occasione di risveglio. L’Europa può aiutarci. L’importante è comprendere che l’Italia ha bisogno non solo di più soldi pubblici ma di grandi riforme, anche normative, e di volontà di perseguirle».
Lei è arrivato in Tim dopo una lunga carriera in Bankitalia. In quale situazione si trova l’Europa? E l’Italia?
«In tutti i Paesi europei l’epidemia ha causato un collasso del reddito, come se fosse scoppiata una guerra. Adesso le economie stanno recuperando, l’Italia anche più di quanto si attendesse, ma questo non deve darci euforia. Dovremo prepararci a una “nuova normalità”, quindi è sacrosanto pensare alle prossime generazioni, come ci esorta a fare l’Europa».
"Il ruolo dello Stato Un’impresa gestita integralmente dallo Stato è sempre meno efficiente di un’impresa privata
" La tutela della concorrenza è centrale, ma va contemperata con l’interesse dei consumatori ad avere una Rete ultraveloce
"Le riforme L’Italia ha bisogno non solo di più soldi pubblici ma anche di grandi riforme