LINCIAGGI MORALI TRA ALLEATI
Aseguire la campagna dei sostenitori del Sì, e non parlo solo dei politici, ma dei milieu culturali e mediatici che li affiancano, potrebbe sembrare che chi voterà No al referendum sul taglio dei parlamentari sia solo un venduto alla casta o un membro della stessa, solo per caso sfuggito finora a una sacrosanta indagine penale; perché, secondo una celebre teoria elaborata in quegli ambienti, non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti. D’altra parte i fanatici del No (ce ne sono molti, in genere mossi da intenti di rivincita per precedenti sconfitte) sostengono apertamente che chi vota Sì o è un populista e dunque un complice nel progetto di distruzione della democrazia parlamentare, o è un ignorante che non conosce la Costituzione e dunque voterà con l’anello al naso. O con la casta o senza cervello. Tertium non datur. È per questo che tra i professionisti della chiacchiera politica, a differenza del più vasto popolo cui pure si appellano, questo referendum costituzionale ha preso le sembianze di un’ordalia, di una prova del fuoco finale, di un bivio tra civiltà e barbarie, manco fosse un nuovo 18 aprile 1948. Mentre invece è altamente probabile che la sera di lunedì, comunque finisca, il sistema costituzionale italiano continuerà a funzionare più o meno come prima. Sono poche le persone razionali che, pur avendo già ponderato e deciso il proprio voto, sono pronte a dichiarare già oggi che non si straccerebbero le vesti se vincessero gli altri.
E questa campagna, che prova a politicizzare la consultazione, contribuisce alla delegittimazione di un istituto referendario che dovrebbe invece indurre a scelte di merito, tanto più agevoli quando gli articoli della Costituzione in questione, come stavolta, sono solo tre, il che rende il quesito estremamente chiaro.
Il vizio di origine sta nel modo in cui i Cinquestelle imposero un anno fa al Pd l’umiliazione di votare a favore della riforma che per tre volte aveva bocciato in Parlamento, come condizione per far nascere il governo Conte II. Una impropria confusione tra maggioranze pro tempore e Costituzione. Che continua. Tuttora la propaganda pentastellata si concede linciaggi mediatici di coloro che, nel Pd e dintorni, hanno dubbi e voteranno no, trattandoli come traditori del popolo. Il che è particolarmente grave soprattutto tra persone e partiti che giurano di voler diventare un’alleanza, una vera e propria coalizione, e che si ripromettono già di fare insieme la più delicata delle scelte, votando insieme il futuro Capo dello Stato. Se questo è il grado di intolleranza interno, difficilmente ci riusciranno.
Per uno strano effetto sismico, la scossa nel campo governativo, ribaltatosi un anno fa, produce riverberi nel campo dell’opposizione di centrodestra; dove due leader, Salvini e Meloni, sono legati al Sì che votarono in Parlamento, ma in cuor loro si fregherebbero le mani se vincesse il No, nella speranza che questo spacchi la maggioranza e sconfigga i Cinquestelle anche nell’ultima ridotta di un progetto di palingenesi per il resto già ampiamente fallito. Perciò molti esponenti di rilievo leghisti non hanno avuto difficoltà a dire il loro no, dopo aver detto in aula il loro sì. E per questo non esiste un vero e proprio
Fronte del Sì: Salvini e Meloni non hanno ovviamente mosso un dito per dare una mano al referendum di Di Maio.
In mezzo ci siamo noi italiani. Di solito scegliamo con oculatezza, in materia di referendum costituzionali. Anche se i politici fanno poi a brandelli il nostro voto per prendersene ciascuno un pezzo. Ci auguriamo almeno che tutta questa animosità sia servita a fa conoscere meglio il contenuto del quesito, come ha del resto provato a fare il Corriere. Comunque gli elettori decidano, avranno ragione. La Costituzione è solo loro.