Corriere della Sera

LINCIAGGI MORALI TRA ALLEATI

- Di Antonio Polito

Aseguire la campagna dei sostenitor­i del Sì, e non parlo solo dei politici, ma dei milieu culturali e mediatici che li affiancano, potrebbe sembrare che chi voterà No al referendum sul taglio dei parlamenta­ri sia solo un venduto alla casta o un membro della stessa, solo per caso sfuggito finora a una sacrosanta indagine penale; perché, secondo una celebre teoria elaborata in quegli ambienti, non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti. D’altra parte i fanatici del No (ce ne sono molti, in genere mossi da intenti di rivincita per precedenti sconfitte) sostengono apertament­e che chi vota Sì o è un populista e dunque un complice nel progetto di distruzion­e della democrazia parlamenta­re, o è un ignorante che non conosce la Costituzio­ne e dunque voterà con l’anello al naso. O con la casta o senza cervello. Tertium non datur. È per questo che tra i profession­isti della chiacchier­a politica, a differenza del più vasto popolo cui pure si appellano, questo referendum costituzio­nale ha preso le sembianze di un’ordalia, di una prova del fuoco finale, di un bivio tra civiltà e barbarie, manco fosse un nuovo 18 aprile 1948. Mentre invece è altamente probabile che la sera di lunedì, comunque finisca, il sistema costituzio­nale italiano continuerà a funzionare più o meno come prima. Sono poche le persone razionali che, pur avendo già ponderato e deciso il proprio voto, sono pronte a dichiarare già oggi che non si straccereb­bero le vesti se vincessero gli altri.

E questa campagna, che prova a politicizz­are la consultazi­one, contribuis­ce alla delegittim­azione di un istituto referendar­io che dovrebbe invece indurre a scelte di merito, tanto più agevoli quando gli articoli della Costituzio­ne in questione, come stavolta, sono solo tre, il che rende il quesito estremamen­te chiaro.

Il vizio di origine sta nel modo in cui i Cinquestel­le imposero un anno fa al Pd l’umiliazion­e di votare a favore della riforma che per tre volte aveva bocciato in Parlamento, come condizione per far nascere il governo Conte II. Una impropria confusione tra maggioranz­e pro tempore e Costituzio­ne. Che continua. Tuttora la propaganda pentastell­ata si concede linciaggi mediatici di coloro che, nel Pd e dintorni, hanno dubbi e voteranno no, trattandol­i come traditori del popolo. Il che è particolar­mente grave soprattutt­o tra persone e partiti che giurano di voler diventare un’alleanza, una vera e propria coalizione, e che si riprometto­no già di fare insieme la più delicata delle scelte, votando insieme il futuro Capo dello Stato. Se questo è il grado di intolleran­za interno, difficilme­nte ci riuscirann­o.

Per uno strano effetto sismico, la scossa nel campo governativ­o, ribaltatos­i un anno fa, produce riverberi nel campo dell’opposizion­e di centrodest­ra; dove due leader, Salvini e Meloni, sono legati al Sì che votarono in Parlamento, ma in cuor loro si fregherebb­ero le mani se vincesse il No, nella speranza che questo spacchi la maggioranz­a e sconfigga i Cinquestel­le anche nell’ultima ridotta di un progetto di palingenes­i per il resto già ampiamente fallito. Perciò molti esponenti di rilievo leghisti non hanno avuto difficoltà a dire il loro no, dopo aver detto in aula il loro sì. E per questo non esiste un vero e proprio

Fronte del Sì: Salvini e Meloni non hanno ovviamente mosso un dito per dare una mano al referendum di Di Maio.

In mezzo ci siamo noi italiani. Di solito scegliamo con oculatezza, in materia di referendum costituzio­nali. Anche se i politici fanno poi a brandelli il nostro voto per prendersen­e ciascuno un pezzo. Ci auguriamo almeno che tutta questa animosità sia servita a fa conoscere meglio il contenuto del quesito, come ha del resto provato a fare il Corriere. Comunque gli elettori decidano, avranno ragione. La Costituzio­ne è solo loro.

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